Lo abbiamo visto anche con il BTp 2050, emesso dal Tesoro tramite un collocamento sindacato nei giorni scorsi per 7 miliardi di euro e che ha riscosso ordini superiori ai 47 miliardi. Il mercato ha fame di rendimento e cerca ogni occasione utile per ricavarlo da qualche parte, non importano tanto più il rating, la scadenza o la tipologia dell’obbligazione. Una conferma di questa tendenza spasmodica la si è avuta nei giorni scorsi con Erste Group Bank AG, una banca austriaca che è riuscita nell’impresa di emettere per 500 milioni di euro un bond subordinato del tipo AT1 (“Additional Tier 1”), offrendo una cedola di appena il 3,375% (ISIN: XS2108494837), la seconda più bassa di sempre per questo genere di debito a rischio, noti in gergo anche come CoCo Bond (“Contingent Convertible Bond”).

La domanda è risultata di 10 volte superiore, ovviamente provenendo dagli investitori istituzionali a cui l’emissione era rivolta, dato anche il taglio minimo di 200.000 euro.

Il titolo, infatti, impone perdite agli obbligazionisti nel caso in cui la banca avesse problemi di capitalizzazione e per di più è perpetuo, cioè privo di scadenza, anche se ha fissato al 15 aprile 2027 la data per esercitare il diritto di rimborso anticipato. Lo scorso anno, Santander ha rotto il patto implicito che il mercato sembrava avere siglato oltre un decennio fa, quando le obbligazioni “ibride” vennero ideate come una soluzione per ottemperare agli obblighi regolamentari sui ratios patrimoniali, ponendosi a metà strada tra bond e obbligazioni sul piano delle caratteristiche. La banca spagnola non esercitò la “call”, in quanto per rimborsare i creditori avrebbe dovuto rifinanziarsi sui mercati a costi più alti di quelli che avrebbe sostenuto rinnovando l’obbligazione.

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I rischi delle emissioni “junk” e subordinate

Gli investitori non sembrano essersi scossi granché dall’episodio, se è vero che hanno continuato a finanziare altre emissioni subordinate di Santander, tra cui una risalente a un paio di settimane fa.

Tornando a Erste Group Bank, il bond è stato emesso di poco sopra la pari, mentre oggi quota appena sotto di essa. La “guidance” iniziale dava il rendimento in area 4%, per cui questo è stato tagliato del 15% in fase di emissione, una percentuale notevole per un titolo con cedola fissa. Si pensi che la banca ebbe problemi con le sue unità in Ungheria e Romania nel 2014, dovendo riportare a bilancio perdite miliardarie, tornando a collocare sul mercato obbligazioni “AT1” a partire dal 2016, ma dovendo offrire allora una cedola dell’8,875%. E nel marzo scorso, ha emesso un altro bond di questo tipo con cedola 5,125%.

Ora, è vero che i rating della banca austriaca si mostrano solidi – “A” per S&P e prospettive positive, “A2” per Moody’s e prospettive positive e “A” per Fitch con prospettive stabili – ma il punto è che questo prodotto si rivela ad alto rischio, specie nelle fasi di ripiegamento dell’economia, quando le banche si trovano esposte verso crediti incagliati e con il passare dei mesi sono costrette a svalutarli a bilancio, man mano che diminuiscono le probabilità di un loro recupero integrale. Una crisi dell’Eurozona forse non è alle porte, ma cosa avverrà quando prima o poi si verificherà? Saranno sostenibili i prezzi così alti di obbligazioni a lunga o senza scadenza? E almeno in questo caso parliamo di rating elevati, ma si consideri che oggi come oggi rendono sottozero svariate centinaia di miliardi di bond con rating “BBB”, la classe più a rischio tra gli “investment grade”, letteralmente esplosa di dimensioni nell’ultimo decennio, triplicatasi in valore nell’Eurozona.

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