Abbiamo scritto più volte dei BTp emessi in dollari USA, un’opportunità di investimento per quanti volessero scommettere sulla valuta americana senza doversi necessariamente accontentare dei bassi rendimenti ormai offerti dalla curva delle scadenze dei Treasuries. Ma il Tesoro italiano ha emesso nel tempo anche titoli di stato denominati in sterline inglesi. Parliamo di due bond rimasti sul mercato e che debuttarono l’uno verso la fine degli anni Novanta e l’altro nei primi anni Duemila. Entrambi esordirono come trentennali.

C’è valore nei BTp in dollari?

Sappiamo che fino a qualche decennio fa, l’Italia aveva la necessità di attirare capitali esteri per rifinanziare il suo già altissimo debito a costi quanto più bassi possibile. E le emissioni in sterline servivano proprio allo scopo, con il Tesoro a confidare nella buona performance futura dell’euro contro la valuta battuta dalla Banca d’Inghilterra.

I due BTp in questione sono l’uno in scadenza il 4 agosto 2028 e con cedola 6% (ISIN: XS0089572316) e l’altro in scadenza il 7 dicembre 2034 e cedola 5,25% (ISIN: XS0197336968), collocati sul mercato rispettivamente nel 1998 e nel 2004. Notiamo subito che il secondo trentennale veniva emesso a tassi già un po’ inferiori al precedente, grazie all’ingresso dell’Italia nell’Eurozona.

Il primo si acquista a quasi 122, per cui offre un rendimento del 2,66%. Il secondo si compra a circa 128, rendendo il 2,57%. Le alte cedole tengono elevati anche i prezzi, ma i rendimenti non risultano scesi ai livelli dei BTp in euro, che sulle medesime scadenze offrivano ieri lo 0,89% e l’1,44% rispettivamente. Questo significa che investendo nei due titoli si porta a casa un rendimento extra di 177 punti base nel primo caso e di 113 nel secondo.

BTp in sterline sottovalutati

Moltiplicando i due dati per gli anni di investimento residui, otteniamo rendimenti extra cumulati del 14% e di oltre il 16% rispettivamente.

Sembra un grosso affare, ma chiaramente dovremmo stare attenti al rischio di cambio. La sterlina nell’ultimo decennio ha perso quasi il 7% contro l’euro, ma è stato dopo il referendum sulla Brexit del 2016 che ha subito uno scossone piuttosto forte. Al momento, il cambio sembra stabilizzarsi a un po’ meno di 1,12 euro per 1 sterlina.

Dato il medesimo rischio sovrano che si corre investendo nei BTp in euro, possiamo affermare che gli spread riflettano il tasso medio di deprezzamento atteso per la sterlina da qui ai prossimi 8 e 14 anni.

Nessuno può credibilmente fare previsioni così a lungo termine su una coppia valutaria, ma se monitorassimo lo spread Gilt-Bund, troviamo che il mercato si aspetterebbe un rafforzamento medio dell’euro dello 0,70% all’anno fino ai prossimi 15 anni, ben meno di quanto scontato dagli spread tra BTp in sterline e quelli in euro. Ne consegue che i titoli in sterline emessi da Roma sarebbero un po’ sottovalutati e, quindi, starebbero rendendo oltre quanto dovrebbero. Peraltro, la cosiddetta “lex monetae” inciderebbe favorevolmente, abbassando il rischio sovrano nel caso remoto di uscita dell’Italia dall’euro. Se i titoli emessi nella moneta unica potrebbero essere convertiti in lire, più difficilmente ciò avverrebbe con quelli denominati in valute straniere, che resterebbero intatti, cioè continuerebbero ad essere onorati in dollari, sterline, etc.

Il mercato starebbe scontando la Brexit come fattore di rischio a medio termine, dato che non è ancora certo che Londra e Bruxelles riescano a siglare un accordo commerciale per regolare gli scambi dopo la transizione seguita all’uscita del Regno Unito dalla UE. Questo pesa sugli assets denominati in sterline, ma nel caso dei BTp a incidere sembra più che altro il rischio sovrano.

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