Nel mondo finanziario anglosassone i Development Impact Bonds (DIBs) sono conosciuti già da tempo come obbligazioni ad alto rischio emesse più che altro da istituzioni bancarie. Si tratta di bond che nascono dall’esigenza delle banche di smobilizzare crediti non performanti o incagliati e che vengono offerti a investitori qualificati. Detto così, sembrano strumenti altamente rischiosi (e in parte lo sono), ma c’è da dire che possono regalare anche ottime soddisfazioni qualora la finanziaria o la società addetta al recupero dei crediti per i quali è stato emesso il bond riesca a ottenere risultati maggiori delle attese.

In Italia i Development Bonds non sono autorizzati, ma è allo studio da parte del governo una legge per farli decollare. Lo scrive MF-Milano Finanza  precisando che si tratta di un progetto portato all’attenzione del Ministero dello Sviluppo Economico della task force del ministero  incaricata di delineare la nuova politica industriale per il rilancio dell’Italia.   Gran parte delle compravendite di sofferenze non performing loan (Npl), infatti, è stata condotta su crediti chirografari, cioè tipicamente prestiti al consumo, in questo caso valutati tra l’1 e il 5% del loro valore nominale, oppure su mutui ipotecari residenziali o commerciali, garantiti cioè da un immobile e che per questo spuntano valutazioni più elevate, comprese in genere tra il 30 e il 70% del valore nominale, a seconda dell’anzianità e della qualità del portafoglio e delle possibilità quindi di recupero dell’asset e del credito in tempi più o meno brevi. In sostanza, i development bond sarebbero titoli emessi dalle singole aziende per un valore nominale equivalente alla loro esposizione complessiva verso il sistema bancario. Questi bond sarebbero sottoscritti per una quota dalle banche finanziatrici dell’impresa in questione, ciascuna in proporzione alla propria esposizione lorda vero l’azienda e indipendentemente dal valore di bilancio assegnato al loro credito, mentre la restante quota sarebbe sottoscritta da nuovi investitori, che immetterebbero quindi mezzi freschi in azienda.
Questi titoli dovrebbero poi essere quotati su un mercato regolamentato, che potrebbe essere l’ExtraMot Pro di Borsa Italiana, nato per negoziare i titoli di debito delle pmi non quotate e destinato solo agli investitori professionali.