Avreste mai pensato fino a pochi giorni fa che per investire il vostro denaro a 1 mese avreste percepito un rendimento dello 0,55% su base annua? Diciamoci la verità, dopo che per anni ci siamo detti che nemmeno le lunghissime scadenze in giro per l’Europa offrissero una remunerazione almeno dignitosa, nessuno ci avrebbe scommesso. Ma la situazione si è evoluta negativamente per l’Italia e a una velocità impressionante. Stretti tra crisi economica acuita al massimo dall’emergenza Coronavirus e dichiarazioni imprudenti del governatore della BCE, Christine Lagarde, i nostri BTp stanno collassando sui mercati finanziari, oggetto di vendite copiose e apparentemente incessanti.

Solo oggi, a seguito del varo del PEPP della BCE, i bond si sono fortemente ripresi, con lo spread ad essersi ristretto fino a 120 punti e il decennale a scendere a un minimo dell’1,50%.

Italia sotto attacco finanziario, spread a 330 punti

Ieri, invece, il rendimento decennale è salito fino al 3%, mentre il BTp 2067 è arrivato a quasi il 3,30%. Considerata l’inflazione tendente a zero e che con buone probabilità scenderà in area negativa nei prossimi mesi per il collasso del petrolio e, in generale, dell’economia in corso, dovremmo essere più che felici di investire in titoli “sicuri” e al contempo così redditizi. Chiediamoci se sia davvero il caso di farlo.

Se il BTp 2067 dovesse tornare nei prossimi mesi ai livelli di prezzo di appena meno di un mese fa, guadagneremmo il 28% solo approfittando del rimbalzo (+4,10% a metà seduta di oggi). Nel caso contrario, resteremmo con in mano un’obbligazione che ci renderebbe quasi il 3% all’anno, quando ancora oggi i conti deposito delle banche non sborsano un solo centesimo e nemmeno per vincoli pluriennali. Analogo il discorso lungo tutta la curva delle scadenze. Ricordiamoci che fino a poche settimane fa, il BTp a 10 anni rendeva meno dello 0,90%, mentre oggi oltre tre volte in più.

I rischi dei BTp

Tuttavia, ad alti rendimenti equivalgono alti rischi. A questa regola non sfuggono nemmeno i titoli di stato. E i nostri mostravano ieri il più alto spread dal 2012, anno della terribile tempesta finanziaria che rischiò di travolgere l’euro. Se pensate che i titoli emessi dal nostro Tesoro siano privi di rischio, vi sbagliate di grosso. Abbiamo pubblicato i dati raccapriccianti su pil e conti pubblici stimati per quest’anno e dai quali emerge che il rischio sovrano sarebbe più alto che mai. L’Italia sta andando incontro a una crisi fiscale potenzialmente devastante. E a differenza del 2011-’12, quando l’avvicendamento al governo fu percepito come un inizio di svolta, oggi tutte le opzioni sembrano esaurite.

I rischi a cui l’investitore in BTp andrebbe incontro sarebbero grosso modo due. Il primo, e il meno tragico volendo, che i prezzi continuino a scendere, cioè che i rendimenti si assestino su livelli stabilmente più elevati lungo la curva, magari anche a seguito di uno o più “downgrade” da parte delle principali agenzie di rating. Perché man mano che i dati macro verranno pubblicati, non si potrà più far finta di niente. Il secondo è ben più duro da digerire: l’Italia corre il pericolo di dover avviare una ristrutturazione del debito sovrano, in forma di allungamento delle scadenze e/o di taglio delle cedole e/o del valore nominale dei bond.

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Basterà il MES?

In molti di voi penserete che il peggio verrebbe evitatoci da un “bailout” ad opera del Fondo salva-stati. Non fateci affidamento. Trattasi di un ente incapiente, con un capitale versato di appena 80,5 miliardi e uno massimo potenziale di poco più di 700 miliardi. Il salvataggio dell’Italia implicherebbe la necessità per il MES di ripararci dai mercati per almeno 18-24 mesi.

Nel frattempo, dovremmo pagare scadenze a medio-lungo termine per almeno 500 miliardi. Pensate che gli altri stati, in piena emergenza finanziaria, staccherebbero assegni per pompare liquidità a nostro favore, rischiando di rimanere senza aiuti nel caso in cui il MES servisse a loro?

E i mercati, conoscendo l’incapienza del fondo, prenderebbero di mira subito dopo l’Italia anche grossi stati come la Spagna, al fine di testare le intenzioni della UE. Dunque, il meccanismo ha un peccato originale che non si cancella con qualche rassicurazione bonaria. Infine, le condizioni a cui gli aiuti verrebbero subordinati lo rendono poco praticabile sul piano politico. Nessun governo vuole finire commissariato dai partner europei, di fatto gli azionisti di controllo del MES stesso.

Il salvataggio dovrebbe arrivare necessariamente tramite una qualche forma di “copertura” della BCE, che nell’ultima settimana ha fatto intendere l’esatto contrario, liberando le forze speculative e foraggiandole a testare la resistenza dei titoli di stato nell’area. Tuttavia, ieri sera è arrivata la svolta con l’annuncio di un piano da 750 miliardi di euro denominato “Pandemic Emergency Purchase Programme” (PEPP), che consisterà in acquisti degli stessi assets sin qui inseriti nel “quantitative easing” e seguendo la regola del “capital key” per i titoli del debito pubblico, ma ritagliandosi una certa flessibilità per contrastare la frammentazione dei mercati. E il programma comprenderà pure i titoli di stato della Grecia e i titoli cambiari o pagherò non finanziari. La durata si estenderà fino alla cessazione dell’allarme Coronavirus, ma non prima della fine di quest’anno. I BTp possono tornare a respirare.

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