I rendimenti obbligazionari sono tornati a salire da Ferragosto. Ieri, il T-bond americano a 10 anni offriva nuovamente il 3% dopo un mese. Solamente agli inizi di agosto, risultava sceso sotto il 2,60%. In Italia, spread sul tratto decennale in area 230 punti e BTp a 10 anni al 3,55%. Per capire di cosa stiamo parlando, dovremmo guardare alle aspettative del mercato con riferimento il livello dei tassi d’interesse negli USA. A settembre, la Federal Reserve sarà certamente chiamata ancora una volta ad alzare il costo del denaro.

E’ fuori dubbio che accada, l’incertezza resta sul quanto. E se fino a qualche seduta fa, il mercato scontava un rialzo dei tassi nell’ordine del mezzo punto percentuale, adesso prospetta un +0,75%, così come negli ultimi due board di giugno e luglio.

Rialzo tassi FED colpisce T-bond e oro

Se le aspettative si rivelassero corrette, tra poche settimane i tassi FED salirebbero dal 2,50% al 3,25%. Proprio questa prospettiva sta innalzando i rendimenti dei T-bond, rafforzando il dollaro e trascinando al ribasso tutto il mercato obbligazionario nel resto del mondo. Un male per l’oro, che prima di Ferragosto era risalito sopra 1.800 dollari l’oncia, mentre ieri si attestava a 1.730 dollari, vale a dire ai minimi da quasi un mese.

Un T-bond a 10 anni al 3% si mostra molto appetibile per i capitali, i quali trovano poco sensato optare per un asset senza cedola come il metallo. E dire che le aspettative d’inflazione stiano “surriscaldandosi” dopo mesi di “raffreddamento”. Stando al “breakeven” a 5 anni negli USA, risultavano ieri al 2,73%, un quarto di punto percentuale sopra i livelli di inizio luglio.

Si allarga la divergenza monetaria

Chi acquistasse oggi un T-bond a 5 anni al 3,10%, si porterebbe a casa un rendimento lordo reale di quasi lo 0,40%. Tanto basta per far affluire capitali negli USA. Del resto, l’Eurozona si mostra ancora molto meno generosa.

Il Bund a 5 anni offre poco più dell’1%, la metà del target d’inflazione fissato dalla BCE per il medio termine. Bisogna venire in Italia per trovare rendimenti appetibili, ma da noi il problema è dato dal rischio sovrano percepito.

In generale, dinnanzi a tassi d’inflazione fuori controllo le banche centrali non possono affievolire la rispettiva retorica a favore della stretta monetaria. Tutto questo spinge in alto i rendimenti sovrani e corporate, specie per i T-bond. E’ più credibile, in effetti, che la FED riesca a portare avanti il suo programma restrittivo, compresa la riduzione del bilancio, che non la BCE. Quest’ultima è alle prese con lo spettro di una grave recessione dell’economia nell’Eurozona, provocata dalla crisi energetica. E’ questa accresciuta divergenza monetaria che ha portato ieri il cambio euro-dollaro sotto la parità.

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