Le azioni Deutsche Bank sono state travolte in borsa venerdì scorso dopo che i CDS a 5 anni della banca tedesca avevano registrato in una sola seduta un aumento da 132 a 173 punti base. Questa mattina, gli schermi segnalano un ulteriore aumento a quasi 203 punti. E’ un pessimo segnale, destinato probabilmente a rinvigorire le tensioni sui mercati finanziari. Ma per l’esattezza cosa sono questi CDS e perché fanno così paura?

Acronimo di Credit Default Swaps, sono titoli che assicurano contro il rischio di crac dell’emittente delle obbligazioni per le quali ci si vuole proteggere.

Contrariamente a quanto penseremmo sulla base di una conoscenza superficiale di questo mercato, i CDS non sono emessi dagli stessi emittenti dei bond, bensì da parti terze. Queste agiscono come una compagnia di assicurazione. Dietro il pagamento di un premio annuale, infatti, s’impegnano a garantire per i pagamenti dei titoli obbligazionari assicurati nel caso di default e spesso anche di altri eventi creditizi avversi al creditore.

Tutela contro rischio default

In genere, i CDS a cui il mercato fa riferimento hanno durata di 1 o 5 anni, ma possono arrivare benissimo ai 10 anni. Nel caso sopra citato di Deutsche Bank, per assicurarci contro il crac dovremmo versare all’emittente di questi titoli più del 2% del valore nominale verso il quale ci vogliamo assicurare per un quinquennio. La copertura riguarda ordinariamente un valore minimo di 10 o 20 milioni di euro, per cui il servizio si rivolge agli investitori istituzionali e non ai piccoli risparmiatori. Chiaramente, i CDS fungono da segnale per captare il rischio default percepito tra gli investitori. Poiché il loro prezzo sui bond di Deutsche Bank si è impennato nelle ultime sedute, significa che c’è domanda di assicurazione contro un possibile crac della banca tedesca. Dunque, sale il numero degli investitori che temono il suo crac.

I CDS non sono scambiati sui mercati regolamentati, bensì over the counter (OTC) per diverse migliaia di miliardi di dollari.

Seguono perlopiù i criteri fissati dall’International Swaps and Derivatives Association (ISDA), per cui presentano una forma standardizzata. Sono sorti negli anni Novanta e alla vigilia del crac di Lehman Brothers avevano raggiunto la cifra astronomica di 62.200 miliardi di dollari di emissioni. Oggi, sarebbero sotto i 10.000 miliardi.

CDS anche strumenti speculativi

Non è detto che l’acquisto di un CDS avvenga effettivamente per proteggersi contro il rischio default di un bond posseduto. Un investitore può decidere di inserirlo in portafoglio solo per finalità speculative. In questo caso, si parla di CDS “nudi”. Ad esempio, se prevedo che le difficoltà di Deutsche Bank si aggraveranno nelle prossime settimane, acquistò i CDS a 5 anni a copertura di uno o più bond emessi dall’istituto senza possederne uno. Man mano che la crisi si acuirà, il mercato correrà a ripararsi dai rischi, i prezzi saliranno e potrò rivendere a terzi i CDS realizzando un profitto. In questo senso, si tratta di strumenti che scommettono indirettamente sul ribasso/rialzo dei prezzi/rendimenti obbligazionari.

Il problema emerso negli ultimi anni con questi titoli è che i soggetti debitori hanno trovato spesso il modo per non fare scattare formalmente l’evento creditizio. Caso emblematico fu la Grecia. Tutti sappiamo e diciamo che essa “fallì” nel 2012, quando tagliò di 107 miliardi di euro il suo debito pubblico, pari al 53,5% del valore dei bond in possesso degli investitori privati. Ufficialmente, però, Atene non è andata in default, ma si è limitata a varare una ristrutturazione del debito “volontaria”. Per questo i possessori dei CDS a copertura dei bond ellenici rimasero con un pugno di mosche in mano. Non a caso è importante verificare minuziosamente i dettagli delle condizioni contrattuali offerte da questi titoli. E sempre non a caso è roba da banche d’affari, fondi d’investimento e compagnie assicurative.

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