C’è una regola aurea sui mercati, che vale in ogni luogo e in ogni tempo: “compra ai minimi e vendi ai massimi”. Gli inglesi si esprimono con un’espressione appena più fantasiosa: “buy the dips (immersioni) and sell the rips (increspature)”. Tutto facile, tranne capire quando siano stati toccati i minimi e i massimi dei prezzi, si tratti di azioni o di obbligazioni. Questa è la domanda che verosimilmente si staranno ponendo molti obbligazionisti italiani con BTp in portafoglio.

Nel 2020, i guadagni realizzati con i titoli di stato italiani sono stati elevatissimi, arrivando al 30% lordo con le scadenze più lunghe.

I rendimenti sono crollati lungo la curva ai minimi di sempre, mentre i prezzi sono esplosi. Non per merito della credibilità delle nostre finanze statali, bensì grazie al sostegno offerto dalla BCE con acquisti che hanno del tutto coperto le emissioni nette di debito del Tesoro. E accadrà fino al marzo dell’anno prossimo. Fino ad allora, infatti, resterà in vigore il PEPP da 1.850 miliardi, di cui ancora circa 1.000 miliardi da spendere.

Il rischio più grande di questo 2021 per i BTp si chiama reflazione e, paradossalmente, ripresa economica. Se l’Eurozona torna a crescere, avviandosi velocemente all’uscita dalla più grave crisi da almeno tre quarti di secolo, le aspettative d’inflazione dovrebbero surriscaldarsi e con esse anche i rendimenti nominali pretesi dal mercato saliranno. Rendimenti su, prezzi giù. A farne le spese sarebbero particolarmente i titoli di stato con scadenze più lunghe, vale a dire con “duration” elevata.

Su quali bond investire nel caso inatteso di reflazione?

Non solo prezzi, c’è anche la tassazione

Per contro, abbiamo più volte scritto che fino a quando la BCE resterà accomodante, difficilmente i bond subiranno ripiegamenti, di certo non in misura considerevole. Anzi, proprio per il fatto che i rendimenti italiani restano i più alti dell’Eurozona, i BTp attireranno sempre più i capitali in cerca di “yield”, rassicurati sul rischio sovrano da Francoforte.

Dunque, bisogna barcamenarsi tra questi due opposti scenari: discesa delle quotazioni da un lato e proseguimento del rally dall’altro.

L’ingordigia si paga spesso a caro prezzo. Se ci accontentassimo delle plusvalenze dell’ultimo anno e decidessimo di vendere, incasseremmo guadagni sicuri e anche a doppia cifra in così breve tempo. Se continuassimo a scommettere sui BTp, potremmo ritrovarci a vendere a prezzi più bassi di quelli attuali, riducendo i guadagni virtuali sin qui portati a casa. Se tentennassimo troppo, potremmo persino ritrovarci a rivendere a prezzi inferiori a quelli di acquisto, specie se siamo entrati sul mercato un po’ tardi, cioè da settembre in poi.

In tutto questo discorso, dobbiamo tenere presente il rendimento dei BTp all’atto del loro acquisto. Supponendo di avere comprato un decennale a fine settembre, quando offriva lo 0,85%. Al netto della tassazione, scenderebbe in area 0,75%. E sottraendo l’imposta di bollo dello 0,20% sul conto titoli, necessario per investire, si scenderebbe ulteriormente allo 0,55%. Attenzione, perché tale imposta si applica sul valore di mercato al termine di ciascun trimestre/semestre/anno, per cui la base imponibile cresce con l’aumentare dei prezzi dei bond. In altre parole, l’imposizione fiscale si sta facendo più gravosa, riducendo il rendimento effettivo netto dei titoli inseriti in portafoglio.

Tassazione BTp, ecco come funziona con cedole e capital gain e come pagare meno

[email protected]