Non solo Cile e Bolivia. Le proteste in America Latina sono state forti e con risvolti sanguinari anche in Ecuador, dove il presidente Lenin Moreno ha dovuto ritirare il “paquetazo”, come spregiativamente è stato definito il pacchetto di riforme varato e che prevedeva inizialmente anche l’aumento del carburante. E anche Quito ha assistito a un rialzo dei suoi rendimenti sovrani, ragione per la quale ci chiediamo se sia il caso di comprare i ribassi dei prezzi. La risposta è questa: chiunque lo facesse, sappia che i fondamentali non autorizzerebbero al facile entusiasmo, anzi segnalano rischi molto alti sull’obbligazionario ecuadoregno.

Iniziamo con il dire che l’Ecuador non batte più una sua moneta sin dal 2000, quando a seguito dell’alta inflazione rinunciò al sucre per adottare il dollaro americano. La lotta contro il carovita è stata grosso modo vinta, ma l’economia non si mostra competitiva. Per quel che ci importa, lo stato sudamericano emette obbligazioni in dollari per rifinanziarsi e i rendimenti esitati sul mercato secondario appaiono molto elevati, specie tenendo conto che si tratti per l’appunto di debito in valuta americana.

Il bond con scadenza giugno 2024 e cedola 7,95% (ISIN: XS1080330704) rende più del 9,20% e quest’anno ha guadagnato l’8%. La scadenza ottobre 2027 e cedola 8,875% (ISIN: XS1707041262) offre il 10,35% e anch’esso ha guadagnato circa il 7,5% nel corso del 2019. Ha ripiegato del 2% dalla sua emissione a inizio anno, invece, il titolo decennale, quello che scade il gennaio 2029 e offre cedola 10,75% (ISIN: XS1929376710), rendendo circa il 10,80%.

Ecuador lancia bond decennale con rendimento 8%

Bond in dollari poco sicuri

Qual è il punto? Anzitutto, si tratta di obbligazioni “spazzatura”, con rating “B-” per S&P e Fitch e “B3” per Moody’s. Le prime due agenzie tengono un “outlook” stabile, mentre la terza lo ha tagliato a “negativo”, lasciando ipotizzare un declassamento. In effetti, l’Ecuador è fresco di default.

Nel 2008, l’allora presidente Rafael Correa decise che non avrebbe più pagato i debiti dei suoi predecessori, definendoli “illegittimi”, riacquistandoli sul mercato subito dopo a un terzo del loro valore (“buyback”). L’operazione non ha impedito nel frattempo al debito pubblico di triplicarsi rispetto al pil, salendo a oltre il 45%.

Ma a preoccupare sono altri dati. Poiché l’Ecuador commercia con il resto del mondo con una valuta molto forte, di fatto esporta poco e perlopiù petrolio, risentendone dell’andamento. Presenta, quindi, una bilancia commerciale quasi cronicamente passiva, costretto a tenere alti i tassi per far affluire capitali con cui tenere in vita le riserve valutarie. La banca centrale li tiene al momento fissati all’8,65%. E malgrado ciò, le partite correnti restano quasi sempre negative, tant’è che il valore delle stesse riserve risulta inadeguatamente basso, pari ad appena un quinto delle importazioni annue.

Tutti questi aspetti ci portano a concludere che l’Ecuador, nonostante il basso rapporto debito/pil, sia più a rischio default di quanto lascino intendere gli stessi rating. Non possiamo escludere che in futuro il paese si trovi costretto a rinunciare al dollaro (vedasi l’esempio recente dello Zimbabwe) per carente competitività sui mercati, evento che porterebbe dritti all’alta inflazione da un lato e all’esplosione del debito (in dollari USA) rispetto al pil, cioè al default. Né rasserena la situazione politica, con una presidenza di stampo socialista, la quale non si farebbe troppi scrupoli a non onorare i prestiti, se messa alle strette dai problemi dell’economia.

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