Il carried interest è tassato come reddito finanziario e non più come reddito da lavoro. Questa è solo la più recente delle novità normative introdotte in tema di venture capital nel corso dell’ultimo anno. Dal 2016, con il piano industria 4.0, l’attenzione del governo per chi si occupa di finanziare le startup è sensibilmente aumentata. Insomma, alla fine, i policy maker si sono accorti dell’importanza del capitale che finanza le idee.

 

Sempre più nel radar anche delle imprese consolidate, che vedono le startup come fonte di innovazione, quasi laboratori esterni di R&S da cui reperire know how e grazie a cui crescere, nel nome dell’open innovation.

 

 

Il carried interest e le ultime novità normative

 

 

Vediamo allora quali sono le principali novità del 2017 – tutte o quasi di tipo fiscale e mirate far decollare il comparto – per chi investe in venture capital. L’ultima, come accennato in apertura, la troviamo nella legge n. 96 del 21 giugno 2017, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. 144 del 23 giugno 2017 (supplemento ordinario n. 31). Si tratta della legge che converte il DL 50/2017, contenente la manovra correttiva 2017. Nella cosiddetta “manovrina”, all’art. 60 si discute sul trattamento fiscale del carried interest.

 

 

Che cos’è il carried interest

 

 

Il carried interest è il bonus che il gestore dei fondi di private equity e venture capital riceve sulla performance di gestione. Che è stato allineato, finalmente, alla disciplina dell’Ue dal punto di vista della tassazione. Il trattamento fiscale del bonus dei manager relativo alla gestione dei fondi di venture capital è cioè stato equiparato a quello di ogni reddito da capitale, e non è più considerato reddito da lavoro. Questo, in soldoni, vuol dire che non è più soggetto ad aliquota Irpef, che varia dal 23% per i redditi sotto i 15mila euro al 43% per quelli sopra i 75mila, ma viene tassato al 26% come il rendimento di qualsiasi strumento finanziario.

 

Gli incentivi fiscali

 

 

Questa nuova regola dovrebbe evitare meccanismi para-elusivi da parte dei manager per portarsi a casa il guadagno senza perderne la metà in tasse e dovrebbe anche attrarre manager stranieri per fare quel mestiere in Italia,” così dice a P101 Fabrizio Barini, head of business development di Intermonte SIM. Intermonte, attraverso una serie di partnership, è diventata la SIM di riferimento in Italia nell’equity crowdfunding con oltre 1,6 milioni di euro raccolti e oltre 850 investitori coinvolti. “Il crowdinvesting –continua Barini –è l’area a maggior crescita nell’industria finanziaria, avendo segnato dal 2013 al 2014 un incremento del 151% e nell’anno successivo un balzo del 92% nel mondo. Il comparto vale oggi 5 miliardi di euro. In Italia questo genere di investimento alternativo ha un enorme potenziale, pari ad almeno lo 0,6% del risparmio delle famiglie. Parliamo di una cifra di 9mila miliardi di euro in totale. Ma il venture capital italiano è molto piccolo e sottosviluppato: pesa lo 0,3% di quello globale contro un Pil domestico che vale il 2,5%.

 

 

Il piano industria 4.0

 

 

Un gap che va colmato. E che con gli incentivi introdotti ex lege potrebbe avere un volano di crescita. Incentivi che sono per lo più contenuti nel piano industria 4.0 recepito nella legge di bilancio 2017. La più importante è, per chi investe in startup innovative e OICR, “Una detrazione fiscale stabile, pari al 30%, dal precedente 19%, dell’investimento fino a un milione di euro – continua Barini – che da sola dovrebbe portare gli investimenti in startup a un miliardo entro il 2020. Una cifra monstre per un Paese come il nostro in cui il venture capital vale poco più di 100 milioni (dati Aifi relativi all’early stage a fine 2016, ndr). E che sarà una bella scossa, che ci porterà allo stesso livello della Spagna o a quello della Germania nel 2015.

 

 

La creazione di start up

 

 

Se le maggiori detrazioni valgono 278 milioni di euro, l’investimento pubblico a favore dell’innovazione in quella che è stata definita la prima Legge di Stabilità a carattere espansivo post crisi e che delinea una politica industriale per anni seppellita in nome dell’austerity, sono molto di più: ci sono incentivi per altri 350 milioni per il rifinanziamento degli interventi nazionali e regionali per il sostegno all’autoimprenditorialità e la creazione di startup; 252 milioni per dare la possibilità, per le quotate a piazza Affari, di acquistare le perdite di una startup partecipata almeno al 20% (quindi di fatto di sponsorizzarla assorbendone le perdite, per i primi quattro anni). Ancora, a tutte le PMI italiane viene dato l’accesso ai portali online per la raccolta di capitali; e si chiamano a raccolta Cdp, enti previdenziali e Inail per costituire fondi di investimento dedicati all’early stage. Per un valore complessivo di 1,35 miliardi che ci si aspetta attirino ulteriori 2,5 miliardi di investimenti privati. Una potenza di fuoco senza precedenti per il nostro Paese.