Lo scorso anno, le emissioni di obbligazioni internazionali nel Golfo Persico hanno toccato la cifra record di 87,6 miliardi di dollari, superando il precedente massimo storico di 84 miliardi del 2017. Tra queste, i 12 miliardi raccolti da Aramco, la compagnia petrolifera statale saudita, a fronte di richieste che superarono i 100 miliardi per il suo primo collocamento di bond. Grazie all’abbondante domanda sui mercati, anche gli stati dell’area hanno potuto rifinanziarsi a costi sempre più bassi e avendone bisogno, dati i bassi prezzi del petrolio di questi ultimi anni, che hanno creato un po’ ovunque grossi “buchi” di bilancio.

Nelle ultime settimane, però, il clima sta cambiando. Gli spread con i Treasuries si stanno allargando. Secondo Refinitiv, il bond trentennale di Aramco ha visto ampliare il divario con gli omologhi USA dai 148 punti base di inizio anno agli attuali 170. Questo significa che il premio richiesto dagli investitori per acquistare titoli del debito emessi nel Golfo Persico sta crescendo, evidentemente scontando maggiori rischi percepiti. Quali? Il petrolio risente negativamente del Coronavirus, perché esso impatta sull’economia cinese, rallentandone i ritmi di crescita.

Si vocifera che la minore domanda di greggio in Cina ammonterebbe a circa 3 milioni di barili al giorno, una quantità enorme e che farebbe tracollare ulteriormente le quotazioni, nel caso il fenomeno non fosse passeggero. Per evitare il peggio, l’Arabia Saudita starebbe già accordandosi con la Russia e gli alleati dell’OPEC per incrementare il taglio della produzione, a sostegno dei prezzi. Tuttavia, quand’anche la soluzione arrivasse in tempo, essa implicherebbe nel breve termine minori estrazioni negli stati del golfo, cioè minori ricavi in dollari con cui ripagare i debiti.

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L’India apre di più ai mercati esteri

Se il Golfo Persico rischia di assistere a un deflusso dei capitali, l’India potrebbe attrarli.

Il ministro delle Finanze, Nirmala Sitharaman, ha annunciato l’allentamento dei vincoli imposti agli investitori stranieri, consentendo loro di acquistare una percentuale maggiore di obbligazioni societarie. Dal 9% attuale, potranno arrivare a detenere fino al 15% e per i titoli di stato il limite verrà innalzato al 30% per ogni emissione, quando ad oggi è del 6%. I fondi stranieri detengono ancora appena il 4% del mercato sovrano da 60.000 miliardi di rupie (780 miliardi di euro).

Nel frattempo, Bloomberg rivela che i bond indiani saranno probabilmente inseriti presto nei suoi indici, compiendo un passo che spronerebbe l’afflusso dei capitali stranieri verso il subcontinente asiatico per 50-125 miliardi di dollari. Si consideri che se la finanza straniera puntasse al nuovo limite per i titoli di stato, affluirebbero capitali per circa 180 miliardi di euro, una quantità immensa, che darebbe una mano enorme al governo indiano per finanziare i deficit, attesi più alti delle stime precedenti sia per quest’anno fiscale in scadenza il 31 marzo prossimo (3,8% del pil contro 3,3% previsto), sia per il prossimo (al 3,5%).

Dall’1 aprile e fino al 31 marzo del 2021, il governo stima di prendere a prestito 5.360 miliardi di rupie, circa 70 miliardi di euro, al netto dei bond in scadenza da rifinanziare. In tutto, le emissioni lorde ammonterebbero a 7.800 miliardi (oltre 100 miliardi di euro). Alla notizia della maggiore apertura agli stranieri, i rendimenti sovrani sono diminuiti di 10 punti base sui 10 anni, scendendo al 6,50%, ai minimi dell’anno (circa +500 bp rispetto al Treasury di pari durata). I bond a 2 anni rendono il 5,99%, in rialzo di 32 bp, ai massimi da agosto, evidentemente perché i mercati sconterebbero maggiori afflussi sulle scadenze medio-lunghe e criticità sul tratto a breve della curva, per via del maggiore deficit e dei livelli relativamente elevati di inflazione.

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