I rendimenti sovrani lungo la curva delle scadenze in Italia sono scesi negli ultimi mesi, grazie al mix di misure di BCE e Commissione UE adottate contro la crisi. Per ottenere un rendimento dell’1% bisogna adesso spostarsi sui 10 anni e per il 2% bisogna almeno arrivare ai 30 anni. Nel confronto con il resto dell’Eurozona, comunque, i livelli italiani restano superiori a tutti gli altri, a parziale eccezione della Grecia. Tutto bene, fino a quando non dovessimo scoprire sulla nostra pelle che i bassissimi rendimenti attualmente offerti fossero insufficienti anche solo a coprire l’inflazione.

Ad oggi, la crescita dei prezzi risulta così bassa da non impensierire nessuno, ma siamo così sicuri che la loro ripresa futura non provochi qualche mal di testa?

BTp€i maggio 2030, asta di oggi buona occasione d’investimento?

Quando l’inflazione accelera, i rendimenti sovrani e corporate salgono e i prezzi scendono. Se cerchiamo di rivendere i bond prima della scadenza, subiremo una perdita e magari siamo costretti a tenere in portafoglio un asset con flussi di reddito reali negativi. Ecco perché sarebbe opportuno proteggerci con l’inserimento di una quota dedicata alle obbligazioni “inflation-linked”. Tra queste, troviamo i BTp€i maggio 2030 e cedola reale 0,40% (ISIN: IT0005387052). Ieri, il titolo prezzava sotto i 99 centesimi, offrendo un rendimento alla scadenza dello 0,52%. Esso si confronta con l’1,08% offerto nel corso della stessa seduta dal decennale con cedola fissa.

Inflazione attesa troppo bassa

Dunque, il mercato sconterebbe un’inflazione media nell’Eurozona di circa mezzo punto percentuale per i prossimi 10 anni. Parliamo di Eurozona, perché questi BTp sono indicizzati all’inflazione nell’area, non a quella italiana. Ne consegue uno scenario positivo per il caso in cui la ripresa economica dell’Italia tardasse ad arrivare rispetto al resto dell’unione monetaria, un po’ come accaduto negli anni successivi alla crisi del 2008.

Di solito, la bassa inflazione è correlata a un andamento stagnante dell’economia. Pertanto, immaginiamo che l’Italia si riprenda dopo il resto dell’Eurozona: l’inflazione tenderebbe a correre più velocemente in quest’ultima che nel nostro Paese.

A quel punto, chi detenesse i BTp€i 2030 si troverebbe in mano un asset che stacca cedole più remunerative di quelle che sono agganciate all’inflazione italiana, come i BTp Italia. Nel frattempo, subirebbe un’erosione del potere di acquisto minore, per cui incasserebbe cedole reali ben elevate. E la corsa al rendimento e a proteggersi contro l’inflazione spingerebbe i prezzi del bond all’insù, consentendo all’obbligazionista di rivenderlo sul mercato secondario maturando anche una possibile plusvalenza. A febbraio, ad esempio, prima che il Covid facesse il suo ingresso ufficiale in Italia, il BTp€i 2030 arrivò a quotare in are 102,50.

In definitiva, bisogna prendere in considerazione l’idea di tutelarsi contro un rialzo dei prezzi ad oggi imprevisto, ma sempre possibile. Il target d’inflazione della BCE, d’altronde, resta fissato intorno al 2% e da Francoforte trapela l’intenzione di tollerare una risalita fin sopra tale soglia per compensare i numerosi anni di crescita dei prezzi inferiore all’obiettivo. Se l’istituto avesse successo, la copertura implicita di appena mezzo punto d’inflazione offerta dal bond si rivelerebbe insufficiente, per cui la quotazione non potrebbe che salire. E se la reflazione si manifestasse prima all’estero, vivremmo una condizione massimamente positiva.

BTp a ruba anche sul secondario, ma il mercato non sconta alcuna inflazione

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