Ieri, il Tesoro ha raccolto complessivamente 4,50 miliardi di euro, tra 3,75 miliardi in CTz a 24 mesi e 750 milioni di BTp€i a 10 anni, vale a dire titoli di stato indicizzati all’inflazione europea e con scadenza 15 maggio 2030 e cedola annuale 0,40% (ISIN: IT0005387052). La domanda per i secondi è stata di 1,276 miliardi, pari a un rapporto di copertura di 1,70, in aumento da 1,48 di fine luglio, quando venne emessa la nona tranche.

Il successo di questa emissione in sé non era scontato, non fosse altro perché l’Italia è caduta in deflazione con l’emergenza Covid, registrando in agosto un calo dei prezzi (-0,5% annuo) per il quarto mese consecutivo.

E investire su un titolo che protegge dal rischio opposto, cioè dall’aumento generalizzato dei prezzi e conseguente perdita del potere di acquisto, non sembra la principale delle preoccupazioni tra gli investitori.

Rispetto alla precedente asta, il rendimento del BTp€i si è ridotto di 9 punti base, scendendo allo 0,37%. Esso si confronta con lo 0,87% offerto nelle stesse ore dal BTp di pari durata con cedola fissa. Il “breakeven” è stato, quindi, di 50 punti base o 0,50%. A fine luglio, a fronte dello 0,46% dell’indicizzato, il bond ordinario offriva circa l’1%, cioè +0,54%.

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Inflazione, attese verosimili?

Questo dato già ci suggerisce che le aspettative d’inflazione in questa estate sono rimaste sostanzialmente inalterate. Il mercato sconterebbe una crescita media dei prezzi da qui ai prossimi 10 anni di mezzo punto percentuale all’anno. Siamo su livelli nettamente inferiori al target della BCE, che è “vicino, ma di poco inferiore al 2%”. Due le cose: o il mercato sta sottovalutando il rischio inflazione o sta anticipando il fallimento dell’istituto nel centrare l’obiettivo di politica monetaria.

Prendendo come riferimento un arco temporale molto più corto e teoricamente più prevedibile, troviamo che il BTp€i settembre 2023 e cedola 2,6% (ISIN: IT0004243512) rendeva ieri il -0,23%, cioè circa 20 punti base in meno dell’omologo con cedola fissa.

In altre parole, il mercato si attenderebbe per il medio-breve periodo una fase di sostanziale assenza di crescita dei prezzi, perché questo è il significato della differenza di appena lo 0,20% tra i due rendimenti. Su un arco temporale ultra-ventennale, poi, abbiamo il BTp€i settembre 2041 e cedola 2,55% (ISIN: IT0004545890) con rendimento 0,60%, cioè 0,66% in meno rispetto al bond con cedola fissa.

Ancora una volta, troviamo un dato nettamente inferiore a quello a cui tende la BCE. Appare obiettivamente difficile pensare che l’inflazione media nei prossimi 20 anni sia appena dei due terzi di punto percentuale. Pertanto, il mercato sembrerebbe non essere granché capace di captare l’andamento futuro dei prezzi in un orizzonte temporale troppo lungo rispetto al presente, mentre più verosimile che ci azzecchi per il breve e medio periodo. Ci aspetterebbero anni di stagnazione dei prezzi, insomma.

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