Il Tesoro ha emesso oggi titoli di stato per 4 miliardi di euro (per i risultati, clicca qui: Italia: aste BTPEi e CTz), di cui 1,75 miliardi relativi ai BTpei con scadenze 2028 e 2041 (ISIN: IT0005246134 e IT0004545890). Si tratta di titoli con cedole legate all’inflazione rilevata nell’Area Euro secondo l’Eurostat. Nel dettaglio, il BTp 15 maggio 2028 e cedola 1,30% ha esitato un rendimento dell’1,32%, mentre il bond con scadenza 15 settembre 2041 e cedola 2,55% ha offerto un rendimento all’atto del suo collocamento del 2%, essendo stato emesso decisamente sopra la pari.

Quando si valuta un titolo con cedola legata all’inflazione, la prima domanda che bisogna porsi è la seguente: mi sta tutelando abbastanza contro il rischio di aumento dei prezzi/perdita del potere di acquisto? Per capirlo, dobbiamo confrontarne i rendimenti con quelli di scadenze omologhe, ma di titoli con cedola fissa. Abbiamo individuato, a tale proposito, due BTp per effettuare il raffronto: il febbraio 2028 e cedola 2% e il settembre 2040 con cedola 5%. Quest’ultimo, pur scadendo ben un anno prima del BTpei settembre 2041, risulta al momento il bond sovrano italiano circolante temporalmente più vicino ad esso.

Ora, il primo offre oggi un rendimento dell’1,87% e il secondo del 2,69%. Pur tenendo presente la disomogeneità delle scadenze, possiamo concordare sul fatto che, grosso modo, rendano rispettivamente lo 0,55% e circa lo 0,70% in più dei rispettivi contraltari con cedola variabile. Questo significa che, per differenza, il mercato si aspetterebbe un tasso medio annuo d’inflazione nell’Eurozona di poco superiore al mezzo punto percentuale da qui ai prossimi 9 anni e di nemmeno tre quarti di punto per i prossimi 20 anni e passa. Verosimilmente, si tratterebbe di una palese sottostima dell’aumento dei prezzi.

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Inflazione sottostimata?

Per quanto bassa sia l’inflazione nell’area in questi ultimi anni, al momento supera ugualmente l’1% e la BCE segnala di voler centrare con ogni mezzo il target di poco inferiore al 2%.

Credibile che nel lungo termine non vada oltre lo 0,5-0,7%? Nemmeno gli stessi contratti forward a 5 anni per 5 anni mostrano tanto scetticismo, prevedendo comunque un’inflazione annua superiore all’1% entro il prossimo decennio. E se l’inflazione è stata sottostimata, significa che i BTp con cedole fisse sono stati sovrastimati, mentre quelli con cedole variabili trattati con eccessiva sufficienza.

Se così stessero le cose, dovremmo attenderci in futuro, magari man mano che l’inflazione registrata dagli istituti di statistica nell’area aumenti, un deprezzamento dei BTp e un apprezzamento dei BTpei, con la conseguenza che i primi renderebbero un po’ di più e i secondi un po’ di meno, visto che in questo secondo caso andrà ad aggiungersi alla cedola un tasso d’inflazione superiore. Non a caso, a giugno i BTpei 2028 e 2041 hanno performato bene rispetto ai due bond con scadenze simili e cedole fisse: nel primo caso, apprezzandosi del 3,4% contro il 3,6%, nel secondo del 6,6% contro il +5%. Tuttavia, da inizio anno hanno messo a segno rispettivamente il 3,6% e il 3,2% contro il 5,5% e il 6,9%.

Tirando le somme, negli ultimi mesi i BTpei hanno offerto una performance deludente rispetto ai BTp, ma nelle ultime settimane il “mood” starebbe cambiando in loro favore, forse perché il mercato inizia a rendersi conto di averli troppo bistrattati e che le cedole fisse rendano effettivamente troppo poco, anche tenuto conto della bassa inflazione di questi anni. Inserire questi bond in portafoglio non sarebbe affatto male per ripararsi dal rialzo dei prezzi e sfruttare a proprio favore quella che in tutta evidenza appare una distorsione del mercato in favore dei BTp.

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