Se l’ipotesi di una patrimoniale rende i titoli di stato relativamente più appetibili, in quanto assets senz’altro esclusi dalla possibile stangata futura, ieri è arrivata una notizia in sé non favorevole ai BTp: la riforma del MES. Il Fondo salva-stati europeo, nato sulle macerie provocate dalle crisi dei debiti sovrani di un decennio fa, cambia parzialmente pelle. Non ci addentriamo nei dettagli, ma preferiamo concentrarci sulla modifica di potenziale maggiore impatto per i titoli di stato: le Clausole di Azione Collettiva (CACs).

Le CACs esistono sin dal 2013, da quando l’Unione Europea le previde fino al 45% del totale delle emissioni annue. Esse consentono ai governi di:

  • tagliare il valore nominale dei bond (“haircut”);
  • allungare le scadenze (“roll over”);
  • modificare il metodo di calcolo di ogni pagamento;
  • cambiare la valuta di pagamento, compreso per il rimborso del capitale;
  • effettuare ogni altra modifica.

Queste clausole nella sostanza danno la possibilità ai governi di ristrutturare i debiti. Affinché ciò sia possibile, però, ad oggi risulta necessaria la doppia approvazione (“double-limb”) dei creditori alle assemblee degli obbligazionisti. Una maggioranza qualificata del capitale della singola emissione oggetto di ristrutturazione deve dare l’OK, così come una maggioranza qualificata dell’insieme degli obbligazionisti, cioè dei possessori di tutti i titoli oggetto di modifica delle condizioni contrattuali. Per i dettagli, vi invitiamo a leggervi un articolo sul tema: Debito pubblico: ristrutturazione possibile con le CACs, ecco cosa rischia l’investitore in BTp.

Cosa cambia con la riforma del MES

Cosa cambia con la riforma voluta dai governi? Dal 2022, le CACs consentiranno ai governi di rivedere le condizioni di emissione dei rispettivi debiti senza più passare per una doppia maggioranza, essendone sufficiente una (“single-limb”), per l’esattezza quella della generalità degli obbligazionisti. In questo modo, eventuali casi di ristrutturazione verrebbero affrontati più speditamente e con maggiore efficacia.

Diminuirebbero le probabilità che si costituiscano minoranze di blocco sulle singole emissioni e questo giocherebbe a favore dei governi.

Ma il mercato non è detto che debba prenderla bene. Di fatto, i governi dell’Eurozona stanno segnalando che sarà più facile in futuro imporre perdite a carico degli obbligazionisti. Titoli di stato più rischiosi, quindi, verrebbero guardati con maggiore circospezione dagli investitori. Tra questi, abbiamo proprio i BTp, in quanto titoli del debito con rating medio-bassi ed emessi da uno stato con un’economia che non cresce da decenni e dalla politica instabile ed erratica. Lo stesso fatto che i governi abbiano previsto una simile riforma potrebbe essere colto come un segnale che va nella direzione di preparare il mercato a possibili ristrutturazioni future. Già prima dell’emergenza Covid, il debito pubblico italiano veniva considerato da Bruxelles su una traiettoria poco sostenibile, se non fosse per il sostegno offertogli dalla BCE.

Il fatto che le CACs vengano ammorbidite non crea alcun incentivo concreto per i governi a sfruttarle per imporre perdite ai creditori (“azzardo morale”). L’effetto stigma che ne scaturirebbe nel lungo periodo più che compenserebbe i benefici di breve periodo. I rendimenti pretesi dal mercato salirebbero e la stessa credibilità dello stato andrebbe a farsi benedire. Ma per come è stato studiato il nuovo MES, un governo rischierebbe di trovarsi costretto ad avvalersi delle CACs per accedere alla sua assistenza finanziaria. Gli obbligazionisti in futuro in avanti farebbero bene a pensarci due volte prima di credere che la scommessa speculativa sul debito pubblico italiano sarà sempre e solo a loro vantaggio.

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