Tra allarme inflazione, rialzo dei tassi in vista e timori sull’economia mondiale, non è un buon momento per il mercato obbligazionario. I titoli di stato italiani ne stanno pagando il prezzo più degli altri, con lo spread decennale arrivato ieri a superare la soglia dei 170 punti base. Dopo anni di emissioni di bond con cedole basse, l’aumento dei rendimenti si traduce in un tracollo dei prezzi. Eppure, il BTp 1 novembre 2026 (ISIN: IT0001086567) è tra gli ultimissimi rimasti a continuare ad offrire una cedola superiore al tasso d’inflazione.

Il titolo fu emesso nel lontano 1996, un’altra era per i mercati. Debuttò come trentennale e a quel tempo era ragionevole cercare di allettare il capitale allettandolo con una maxi-cedola del 7,25%. A gennaio, l’inflazione italiana era salita al 4,8%, ai massimi proprio dall’aprile del 1996. Attenzione, però, perché il BTp 2026 quotava ieri sul MoT di Borsa Italiana a 128,65. Questo significa che per acquistarne un lotto minimo di 1.000 euro nominali, avremmo dovuto spendere 1.286,50 euro.

BTp 2026 e maxi-cedola

Tenuto conto di questo dato, otteniamo che la cedola di 72,50 euro all’anno equivarrebbe a un rendimento annuo lordo del 5,64%. Al netto dell’imposta del 12,5%, scenderebbe al 4,93%. In ogni caso, resterebbe appena al di sopra del tasso d’inflazione. Ma questo non è il rendimento netto finale. Bisogna tenere in considerazione anche la minusvalenza accusata alla scadenza, quando lo stato ci restituirebbe 1.000 euro di capitale, cioè 286,50 euro in meno della cifra spesa. La perdita lorda del 22,27%, spalmata per 4,7 anni che ci separano dalla scadenza, deprimerebbe il rendimento del 4,73% annuo lordo o 4,14% netto. E così, il rendimento netto dell’operazione scenderebbe allo 0,79% (4,93% – 4,14%).

Ad ogni modo, se ci fermassimo a valutare solamente il flusso dei redditi annualmente incassati grazie alla cedola, diremmo che per il momento il BTp 2026 ci consentirebbe di battere l’inflazione. La speranza sarebbe di riuscire a rivendere il bond prima della scadenza almeno a prezzi uguali a quelli di acquisto.

Ma alla data del rimborso mancano meno di 5 anni, a nostro avviso un lasso di tempo insufficiente per sperare in un’inversione di tendenza dei tassi di mercato. A meno che non arrivino dall’economia europea cattive sorprese e l’inflazione nel frattempo non si sarà spenta di nuovo. Uno scenario non impossibile, ma attualmente poco probabile.

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