Il Tesoro ha collocato ieri sul mercato la seconda tranche delle obbligazioni a 20 anni. Ha emesso 2 miliardi di BTp marzo 2041 e cedola 1,8% (ISIN: IT0005421703), raccogliendo ordini per 2,54 miliardi. Il rapporto di copertura è stato di 1,27, non così alto, ma sufficiente a determinare un calo deciso del rendimento lordo rispetto alla prima tranche del settembre scorso. Infatti, esso è sceso all’1,14% annuale. In cinque mesi, il bond guadagna sul MoT esattamente il 10%, salendo nella seduta di ieri sopra 111,60.

BTp marzo 2041: +10% di guadagno netto in 3 mesi

Chi acquistasse oggi il BTp marzo 2041, con durata residua di poco superiore ai 20 anni, dovrebbe spendere 1.116 euro per ogni 1.000 euro nominali investiti.

E incasserebbe 18 euro ogni anno, che rapportati all’esborso monetario farebbero l’1,61%. Questa sarebbe la cedola effettiva. Alla scadenza, poi, l’investitore accuserebbe una minusvalenza del 10,4% per il fatto che gli verrebbero rimborsati dallo stato 1.000 euro e non i 1.116 effettivamente pagati. Questa perdita, rapportata al numero degli anni dell’investimento, equivale a deprimere il rendimento lordo dello 0,52%. Da qui, si scende a un rendimento in area 1,10%. Tenuto conto della tassazione, scendiamo ulteriormente a un rendimento netto inferiore all’1%. Molto poco per un investimento ventennale, ma d’altronde viviamo in una fase, in cui i titoli di pari durata in giro per l’Eurozona offrono ancora meno, spesso rendimenti negativi. In sé, il BTp marzo 2041 espone a un’elevata volatilità dovuta alla sua “duration”. Se l’Italia tendesse al target d’inflazione fissato dalla BCE “vicino, ma di poco inferiore al 2%”, il potere di acquisto del capitale investito supererebbe il rendimento annuo di circa tre quarti di punto percentuale all’anno, qualcosa come il 15% cumulato nell’arco del ventennio.

Cosa fare del BTp a 20 anni

E allora che fare? Poiché i tassi di mercato sono e resteranno verosimilmente molto bassi ancora per un po’, se si vuole portare a casa un rendimento attualmente accettabile per via dell’inflazione azzerata e al contempo senza addossarsi rischi di rilievo, converrebbe farci un pensierino sia al BTp marzo 2041, sia alle scadenze ancora più lunghe.

Ma il suggerimento sarebbe di non impiegare eccessiva liquidità in esse, contenendola a una percentuale minoritaria del portafoglio. Sarebbe più opportuno, infatti, posizionarsi su una “scala” di scadenze progressive, così da rimpiazzare i bond man mano che saranno rimborsati con altri di nuova emissione e verosimilmente con cedole più alte, scontando un rialzo dei tassi nei prossimi anni.

Se si puntasse al disinvestimento anticipato, nella speranza che le quotazioni dei BTp lunghi continuino a salire, il discorso cambierebbe di poco. Esistono ancora margini per una crescita, ma se da un lato il minore rischio politico ci fa supporre che i rendimenti italiani scendano ai livelli spagnoli, dall’altro saranno proprio questi ultimi a risalire nei prossimi mesi con il processo di reflazione in corso. In sostanza, lo spread con i Bonos e i Bund potrebbe restringersi non solo per il miglioramento dei prezzi italiani, ma anche per il peggioramento di quelli spagnoli e tedeschi.

Draghi abbatte già lo spread di 30 punti e ci riporta al varo del suo QE, ma il rally dei BTp non è finito

[email protected]