Che cosa succede ai BTp a lunga scadenza? Un lettore ci scrive per informarci di avere acquistato titoli con scadenza 2037 a un prezzo di 99 e altri con scadenza 2051 a un prezzo di 107. Chi chiede di sapere cosa farsene, avendoli ancora in portafoglio. Doverosa premessa: non forniamo alcun suggerimento per investire o disinvestire, ma ci limitiamo ad analizzare i fatti.

Per quanto il lettore non ci abbia indicato le date a cui ha acquistato i suddetti BTp a lunga scadenza, dai grafici abbiamo dedotto che lo avrebbe fatto tra febbraio e marzo di quest’anno con riferimento al bond 1 marzo 2037 e cedola 0,95% (ISIN: IT0005433195) e tra gennaio e febbraio con riferimento al bond 1 settembre 2051 e cedola 1,7% (ISIN: IT0005425233).

Attualmente, il BTp 2037 presenta una quotazione di poco superiore a 94 centesimi, mentre il BTp 2051 giace a poco meno di 96 centesimi. Rispettivamente, offrono un rendimento annuale alla scadenza sopra l’1,40% e dell’1,92%. Ora, chi ci segue su Investireoggi sa che quasi quotidianamente scriviamo circa il trend ribassista a cui soggiacciono in questa fase i bond, specie quelli più longevi. La ragione è semplice: l’inflazione cresce ovunque, le banche centrali prima o poi dovranno ritirare gli stimoli monetari e alzare i tassi d’interesse e il mercato sta già scontando rendimenti più alti.

BTp a lunga scadenza, altre perdite in vista

Poiché i rendimenti sono correlati negativamente ai prezzi, il loro aumento provoca la discesa dei secondi. Sappiamo con ragionevole certezza che le quotazioni dei BTp a lunga scadenza, salvo imprevisti derivanti dalle condizioni macro, siano destinate a scendere ulteriormente. Non sappiamo fino a quale punto. Inutile fare riferimento ai rendimenti storici delle scadenze a 15 e 30 anni, perché nell’ultimo decennio abbiamo imparato a convivere con un “new normal” sui mercati finanziari. E a maggiore ragione dopo la pandemia.

In altre parole, ci aspettiamo che i rendimenti futuri siano più bassi di quelli a cui assistevamo in anni normali prima della crisi del 2008.

E ciò anche in virtù della bassa inflazione imperante in tutte le economie avanzate. Ciononostante, non immaginiamo che un trentennale possa continuare a rendere meno del 2%. A questi livelli, non coprirebbe neppure la perdita attesa del potere di acquisto.

D’altra parte, se davvero il lettore ha acquistato i BTp a lunga scadenza nei mesi scorsi, già avrebbe dovuto essere consapevole che il valore del suo investimento si sarebbe deprezzato fin da mesi successivi. A questo punto, rivendere implica dovere accollarsi perdite per via dei ribassi delle quotazioni. Aspettare fino alle scadenze imporrebbe di privarsi di liquidità per un numero elevato di anni. E questo è un rischio che ci si assume investendo sul tratto lungo della curva. Il fatto è che il lettore ha comprato a prezzi alti, cioè a rendimenti bassi e tali da non giustificare il mantenimento dei bond a lungo in portafoglio; a meno di disporre di altri asset più redditizi, riservandosi una quota di titoli di alta qualità, così da aumentare il grado di sicurezza dell’intero portafoglio.

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