Persino il Perù ha potuto permettersi nei giorni scorsi di collocare sui mercati internazionali un bond a 100 anni in dollari con rendimento abbastanza contenuto (3,30%), il più basso per un emittente emergente su questa scadenza. In Europa, il caso più famoso è quello dell’Austria, che sui 100 anni ha ben due scadenze: una nel settembre 2117 e l’altra nel giugno 2120. Man mano che negli ultimi anni i tassi di mercato si sono abbassati, sempre più governi ne hanno approfittato per emettere debito dalla maggiore longevità.

L’Italia fa parte dell’ampia schiera di paesi che non lo ha fatto. E’ in ottima compagnia. Né la Germania, né gli USA, né la Francia o il Regno Unito hanno sinora emesso titoli secolari. Il dibattito negli USA c’è stato nei mesi scorsi, allorquando il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, ha testato l’umore degli investitori circa il lancio di un Treasury a 50 anni. La risposta non è stata positiva e il piano è rimasto nel cassetto.

A dire il vero, gli stati con rating AAA non hanno alcun incentivo ad emettere debito a lunghissima scadenza. Essi possono rifinanziarsi sul mercato a costi molto bassi e in ogni fase. Quando le cose si mettono male sul piano finanziario, paradossalmente riescono a spuntare rendimenti inferiori per la natura di “porti sicuri” dei loro titoli. L’Italia, però, non fa parte di questo club esclusivo, anzi ha un rating medio-basso per i suoi BTp, cioè l’ultimo gradino dell’area “investment grade”. Se non fosse stato per il soccorso offerto dalla BCE in piena pandemia, dati i pessimi dati fiscali, i bond tricolori sarebbero stati quasi certamente declassati a “spazzatura”.

Il Tesoro non ha annunciato alcun piano per l’emissione di un BTp a 100 anni. Questo non significa che non ci stia pensando. I rendimenti sovrani italiani sono scesi ai minimi di sempre lungo la curva.

Ormai, un titolo di stato a 10 anni offre appena lo 0,50% e il BTp “Matusalemme”, il più longevo di tutti con la sua scadenza nel marzo 2067, rende anche meno dell’1,55%. Nell’autunno del 2016, quando i rendimenti scesero a livelli mai così bassi fino ad allora, il Tesoro provvide proprio a collocare sul mercato il primo BTp a 50 anni e lo fece con una cedola contenuta per quei tempi, di appena il 2,80% lordo. Se nei prossimi mesi ci stupisse con il lancio del primo BTp a 100 anni, quanto dovrebbe rendere?

Perché il Tesoro non emette un BTp a 100 anni?

Quale cedola per un eventuale BTp a 100 anni?

La risposta potrebbero darcela i titoli esteri. Il bond a 100 anni dell’Austria oggi rende ormai meno dello 0,35%, praticamente quanto la scadenza a 50 anni e sopra di circa 25 punti base a quella a 30 anni. Ma l’Italia non è l’Austria, perché presenta condizioni di rischio più simili a quelle del Messico, che sui 100 anni (in dollari) offre il 3,43%, un pelo sopra il trentennale (sempre in dollari) al 3,39%. In soldoni, quale che sia la situazione del rating, sembra che la curva sovrana tenda ad appiattirsi sul tratto ultra-lungo. Il mercato smetterebbe di pretendere rendimenti più alti, man mano che si passa dai 30 ai 50 e ai 100 anni. Questo ci consentirebbe, in teoria, di emettere un BTp a 100 anni con cedola non troppo superiore al rendimento dell’1,55% offertoci dal BTp 2067.

Certo, a causa della maggiore volatilità a cui un titolo di così lunga durata esporrebbe l’obbligazionista e tenuto conto che si tratterebbe di testare una scadenza nuova, per cui inizialmente illiquida, dovremmo attenderci una cedola in area 1,75%. Se così fosse, sarebbe pur sempre un costo infimo, di oltre 100 punti base inferiore rispetto al tasso del BTp 2067. D’altra parte, il Tesoro si vincolerebbe a corrispondere per 100 anni una cedola oggi come oggi molto bassa, ma chissà se in futuro avrebbe modo di spuntare condizioni ancora migliori.

L’Austria esordì nel 2017 con una cedola del 2,10%, ristrettasi meno di 3 anni dopo allo 0,85%. Difficile, però, che Roma segua lo stesso percorso di Vienna.

Un BTp a 100 anni sarebbe buona notizia per l’Italia?

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