Obbligazioni e inflazione non vanno spesso d’accordo. Negli anni passati, quando sembrava che i prezzi al consumo non sarebbero più cresciuti a ritmi significativi, gli investitori avevano quasi escluso tale variabile dai criteri considerati per giudicare un asset. Anche cedole relativamente basse furono percepite a lungo più che sufficienti per giustificare l’acquisto di un bond. Figuratevi se non fece gola il BTp 1 settembre 2049 (ISIN: IT0005363111), che offriva una maxi-cedola del 3,85%. Il bond fu emesso per la prima volta agli inizi del 2019, debuttando sul mercato come un trentennale.

L’alto tasso d’interesse non rispecchiava le condizioni di mercato nell’Area Euro, bensì le tensioni specifiche sull’Italia. In quei mesi, il governo “giallo-verde” aveva pasticciato sui conti pubblici, andando allo scontro con Bruxelles sul deficit. I capitali defluirono dal nostro Paese e il costo del debito pubblico esplose. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Già pochi mesi dopo, il BTp 2049 si apprezzava fortemente sul mercato con l’allentamento delle tensioni politiche.

BTp 2049 tra massimi e minimi sotto Draghi

Il valore massimo il bond lo raggiunse all’esordio del governo Draghi, quando la quotazione sfiorò 160. Il valore minimo risale al mese scorso, cioè agli sgoccioli sempre del governo Draghi a 86,50 centesimi. Ieri, il BTp 2049 si acquistava sul MoT di Borsa Italiana a 93 centesimi esatti. Considerando che il debutto fu appena sopra la pari, in questi 3 anni e 9 mesi l’obbligazionista avrebbe subito una perdita in conto capitale del 7% nel caso di rivendita.

Allo stesso tempo, però, avrebbe incassato cedole nette pari al 12,6% del valore di acquisto del bond. Il bilancio del BTp 2049 sarebbe stato, dunque, positivo per il 5%. Attenzione, perché in questo calcolo deve ancora essere inserito il fattore inflazione. Dall’emissione, essa è stata superiore al 10%. Ciò significa che l’investimento risulterebbe essere stato a perdere, avendo reso in termini reali qualcosa come il -5% in meno di quattro anni.

Se, invece, l’obbligazionista non avesse deciso di rivendere il BTp 2049, ad oggi il risultato sarebbe positivo. Infatti, le perdite in conto capitale rimarrebbero virtuali e nel frattempo il valore delle cedole nette supererebbe ancora l’inflazione cumulata in questi anni. Pur di poco, l’investimento continuerebbe a mostrarsi giustificato.

Risalita dei prezzi con tassi giù

Come sempre, la data di ingresso sul mercato di rivela essenziale per investire bene. Chi acquistò il BTp 2049 all’atto della sua emissione, tutto sommato inserì in portafoglio un titolo remunerativo anche alle attuali condizioni di mercato. Chi lo fece ai prezzi massimi, commise una sciocchezza bella e buona. Da allora, avrebbe perso il 41,5% sul fronte del capitale, a fronte di cedole incassate molto basse rapportate agli alti prezzi di acquisto. E l’inflazione avrebbe fatto il resto.

Saggezza vorrebbe, nel caso in cui si avesse un’esigenza particolare di liquidità, di mantenere il BTp 2049 in portafoglio per poterlo rivendere a prezzi più alti nei prossimi mesi e anni. Se fossimo entrati sul mercato a quotazioni non stellari, potremmo persino riuscire a disinvestire senza perdite. Ricordate che quando i tassi di mercato torneranno a scendere, i prezzi che s’impenneranno più di tutti saranno quelli dei bond a lunga scadenza e con cedole alte. Come il BTp 2049, appunto!

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