Il mercato dei titoli di stato italiani si è parzialmente ripreso dai tonfi dei mesi scorsi. Nell’ultimo mese, i rialzi dei prezzi lungo la curva delle scadenze sono stati consistenti, così come per converso la discesa dei rendimenti. Il BTp marzo 2041 e cedola 1,8% (ISIN: IT0005421703) ne è la conferma: +5,6%, con il rendimento sceso contestualmente da 1,81% a 1,44%.

Il bond ventennale del Tesoro offre nei fatti un “premio” all’obbligazionista. In quale senso? Sappiamo che i rendimenti tendono a crescere lungo la curva.

Man mano che le scadenze sono più lontane nel tempo, l’investitore pretende rendimenti più alti per privarsi della liquidità. Una cosa è, infatti, acquistare un’obbligazione a 5 anni, un’altra farlo con una a 30 anni.

Il BTp 2041 è una scadenza a metà strada tra il BTp 2031 e il BTp 2051, cioè tra il decennale e il trentennale. In teoria, immaginiamo che il suo rendimento sia anch’esso una media tra quanto offra il bond a 10 anni e quanto il bond a 30 anni. Invece, ieri il rendimento a 10 anni si attestava in area 0,75%, quello a 30 anni all’1,77%. Ci attenderemmo, quindi, un rendimento a 20 anni in area 1,25% o poco più. Come detto, invece, il BTp 2041 offre l’1,44%.

Questo significa che questo titolo ci rende quasi una ventina di punti base in più della nostra ipotesi. Per l’appunto, saremmo dinnanzi a un premio. Come mai? Probabile che la scadenza a 20 anni sia considerata dal mercato poco idonea per investire: troppo longeva per un investimento di medio-lungo termine e troppo corta per un orizzonte temporale lungo. Questo dato è emerso nel 2020 quando il Tesoro americano emise il primo Treasury a 20 anni dal 1986. Anche il quel caso, il grafico presentò una sorta di “gobba” sulla scadenza ventennale, vale a dire che il rendimento risultò superiore a quello teoricamente scaturente dall’interpolazione dei dati sulle altre scadenze. La relativa minore domanda deprimerebbe i prezzi e accrescerebbe il rendimento esitato sia alle aste che sul mercato secondario.

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