Buongiorno Sig. Direttore,  ho letto i suoi interessanti articoli anche riguardo ai Titoli di Stato del Venezuela. Attualmente sono possessore del Titolo di stato del Venezuela con ISIN USP17625AB33, durata prevista 07.05.2008 al 07.05.2028, che ho acquistato con ultimo ordine del 03.11.2017. Dal mese di Febbraio 2019, come lei ha ben spiegato attraverso i suoi articoli,  non è possibile alcuna compravendita dei Titoli venezuelani a causa delle note decisioni. Ciò detto, le chiedo,  gentilmente, se può rispondere, anche pubblicamente, al seguente quesito:

Nel mio dossier Titoli di Poste Italiane mi ritrovo una condizione per cui è come se il Titolo in argomento fosse nettamente in guadagno, ovviamente sempre variabile, tipo Euro 1.100,00, 800,00, 900,00 e così via, nel senso che detto ipotetico guadagno viene chiaramente riportato in apposita Sezione ed è espressamente indicato dai noti simboli di  colore verde che ovviamente li troviamo all’interno della piattaforma di Poste, nell’ambito della più ampia Sezione del Dossier Titoli del sottoscritto. Preciso che un mio parente ha riscontrato la stessa condizione sopra illustrata. Aggiungo che in Poste, presso l’Ufficio Consulenza, non mi sanno dare una spiegazione.

Cosa importante è che da alcuni mesi a questa parte, avendo provato ad inviare diversi ordini di vendita del titolo, inserendo il limite di 35-36 (prezzo di carico è di circa 32,00), ho chiaramente riscontrato che il sistema li ha  sempre puntualmente  accettati; tuttavia, dopo qualche giorno mi ritrovo l’ordine di vendita nella sezione “ordine ineseguito”. Per quanto sopra, Le chiedo ma il Titolo in argomento è negoziabile?

Gentile lettore,

rispondo con piacere a Lei e automaticamente a tutti coloro che si trovino nelle sue stesse condizioni.

Partiamo dalla prima anomalia che ha riscontrato: il conto titoli registrerebbe guadagni virtuali da Lei realizzati, in quanto rimasto bloccato ai valori dell’ultima seduta in cui il trading è stato possibile, vale a dire a inizio febbraio. Allora, il bond 2028 in questione chiuse a un prezzo prossimo a 32 centesimi di dollaro, anche se Lei sostiene (e non ho motivo di non crederle) di averlo acquistato esattamente a tale prezzo medio di carico, in data 3 novembre 2017.
Personalmente, controllando ho verificato che la chiusura di seduta fu quel giorno a 28,5 centesimi, ma il giorno prima era stata a 35,50, per cui quanto da Lei affermato corrisponde perfettamente.

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Certo, è strano che questo guadagno virtuale muti nel tempo, come se seguisse l’andamento del prezzo dei bond, i quali sappiamo non vengono negoziati da oltre 7 mesi. Tuttavia, è possibile che su una qualche piattaforma si registri qualche scambio raro, tale da muovere la quotazione con anche ampie oscillazioni. Ad ogni modo, ribadisco a Lei e agli altri lettori che i titoli di stato venezuelani non risultano ancora negoziabili per via delle sanzioni americane, estese anche al mercato secondario, attraverso l’impossibilità per gli operatori di accedere ai dollari per la compravendita di tali bond. A tale proposito, il fatto che inserisca l’ordine e che venga accettato, salvo essere successivamente non eseguito, conferma quanto sopra scritto: è possibile impartire un ordine di vendita all’istituto di intermediazione, nel suo caso Poste Italiane, ma questo troverà impossibile eseguirlo.

E’ tutto perduto? A parte il fatto che dai dati parziali arrivati in questi mesi dal mercato nero, si calcola che mediamente un bond venezuelano tratterebbe in area 15 centesimi – nel suo caso sarebbe una bella perdita – il default in cui versa Caracas da fine 2017 non significa che lo stato bolivariano non pagherà mai il suo debito. Di certo, non può farlo adesso, a causa della devastante crisi finanziaria ed economica vissuta dall’economia domestica e dalla carenza di dollari disponibili. In futuro, potrebbe seguire l’esempio dell’Argentina, che ha rimborsato intorno al 30% del valore nominale dei bond in default alla fine del 2011, pur a partire dopo parecchi anni e cause giudiziarie trascinatesi fino al 2016.

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Cambio di passo degli USA?

La vera speranza concreta, però, sarebbe che l’amministrazione Trump aprisse a un allentamento delle sanzioni. E’ notizia dei giorni scorsi che il consigliere alla Sicurezza, John Bolton, sia stato licenziato dal presidente. Motivo? Troppe divergenze in politica estera. L’uomo è considerato un “falco”, strenuo oppositore dell’Iran e della Corea del Nord, mentre Donald Trump ha sin qui seguito un metodo ormai apparentemente collaudato: fare esplodere le tensioni con alcuni stati nemici dell’America, salvo successivamente trattare alle condizioni più favorevoli possibili per Washington, al fine di giungere a un accordo. E’ quanto accaduto, pur parzialmente, con la Corea del Nord, con le trattative commerciali in corso con la Cina e quanto desidererebbe la Casa Bianca accadesse anche con Teheran.

E il Venezuela? Sin qui, la linea americana non ha funzionato come avrebbe dovuto. Il riconoscimento di Juan Guaido come presidente legittimo non ha portato al collasso del regime “chavista” di Nicolas Maduro e le sanzioni contro il trading dei bond venezuelani sul mercato secondario non hanno nulla a che vedere con la (giustificabile) volontà di Trump di privare il governo di Caracas dei dollari per sopravvivere, riguardando scambi tra soggetti privati, molti dei quali americani (si pensi a Goldman Sachs). Un ammorbidimento dell’embargo con il licenziamento di Bolton non è da escludersi, nel quale caso, però, attendiamoci un calo verticale dei prezzi con il ripristino delle contrattazioni, vuoi per la corsa all’offerta di quanti vorranno approfittarne per liberarsi di titoli considerati ormai una zavorra, vuoi anche perché fino alla sospensione delle contrattazioni i prezzi erano esplosi, scontando ottimisticamente un cambio di regime imminente, ad oggi lontano dal verificarsi.

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