I 27 capi di stato e di governo dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo “storico” per l’emissione di debito in comune, finalizzato al sostegno delle economie nazionali, attraverso 390 miliardi di aiuti a fondo perduto e di 360 miliardi di prestiti, tutti da erogare nel triennio 2021-2023. Questo denaro ingente sarà attinto dalla Commissione europea sui mercati dei capitali, ricorrendo ad emissioni di obbligazioni sovranazionali. Esse godranno del rating “AAA”, il massimo previsto dalle scale fissate dalle agenzie di valutazione. Non sarà la prima volta che l’Europa emette debito per conto degli stati.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità, erede dello European financial stability facility, lo fa da anni, anche se a nome dei soli stati dell’Eurozona e per importi, tutto sommato, contenuti.

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Da tempo si parla di “Eurobond” quale superamento del frastagliamento dei mercati sovrani nell’unione monetaria, ma avvertiamo subito che i bond che verranno emessi dalla UE non lo saranno, in quanto riguarderanno anche i paesi che non fanno parte dell’Eurozona, cioè Danimarca, Svezia, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca e Croazia.

Eppure, l’impatto sui mercati obbligazionari nazionali potrebbe rivelarsi rilevante. Queste nuove obbligazioni godrebbero della massima fiducia tra gli investitori, riuscendo a offrire rendimenti molto bassi e verosimilmente negativi fino al tratto medio-lungo della curva delle scadenze. In un certo senso, diverranno “safe assets”, porti sicuri che si affiancheranno a quelli già esistenti in Europa e rappresentati ad oggi dai Bund, oltre che dai titoli di stato dei cosiddetti stati “frugali”. Una buona notizia per il mercato, che nelle fasi di tensione si mette a caccia di sicurezza, spesso trovando poco riparo nel Vecchio Continente, dove i porti sicuri emettono tipicamente poco debito, lasciando gli investitori in penuria di assets di massima qualità in portafoglio.

L’impatto su Bund e BTp

Da concorrenti principalmente dei titoli tedeschi, potrebbero con il tempo farne lievitare i rendimenti, riportandoli più vicini allo zero percento, se non sopra, indipendentemente dall’evoluzione dei mercati. In effetti, non solo l’offerta di assets sicuri aumenterebbe, facendone diminuire i prezzi e risalire i rendimenti, ma questa prima forma palese di mutualizzazione dei debiti allenterebbe le tensioni nell’area, dove sinora gli investitori hanno temuto che le divisioni tra stati rischino di prendere il sopravvento e di portare alla fine dell’euro, magari in un futuro non prossimo e in forme che non necessariamente coinciderebbero con il ritorno alle monete nazionali.

Non sarà facile capire quale sarà l’impatto sui titoli di stato semi-periferici. Da un lato, i bond UE stimoleranno l’appetito per il rischio e sosterranno i prezzi di BTp, Bonos, bond portoghesi, greci, etc.; dall’altro rischiano di tracciare un solco ancora più marcato tra “core” e periferia, spingendo gli investitori a investire di più nei primi, specie a fronte di offerta e rendimenti più alti.

Se, poi, queste fossero solo le prime di emissioni ancora più corpose e strutturali che verrebbero decise nei prossimi anni dalla Commissione, magari a seguito dei benefici riscontrati con il lancio di questi titoli, i mercati sarebbero ulteriormente indotti a portare i loro capitali direttamente a Bruxelles, anziché addossarsi rischi specifici negli stati del Sud Europa. In un certo senso, l’Italia si ritroverebbe a pagare un po’ di più per le emissioni di BTp, ma avrebbe meno bisogno di queste, potendo attingere dai capitali molto più economici messi a disposizione dalla UE. Al momento, lo scenario continua a rimanere remoto.

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