Non è un buon momento per il dollaro, che risente negativamente dell’allentamento delle tensioni globali con l’avvio delle vaccinazioni contro il Covid. I rendimenti americani stanno risalendo piuttosto velocemente nelle ultime settimane. Dopo la vittoria dei democratici in entrambi i ballottaggi in Georgia, che consentirà all’amministrazione Biden di godere della maggioranza anche al Senato, il mercato non ha dubbi sull’implementazione dell’agenda economica nella direzione di un aumento degli stimoli fiscali. Ci si attende più spesa pubblica in deficit e un sostegno della Federal Reserve all’economia americana meno necessario, sebbene dall’istituto siano arrivate smentite su un possibile “tapering” anticipato.

Ad ogni modo, il Treasury a 10 anni offre ormai più dell’1,10%, quello a 2 anni lo 0,15%. A fine dicembre, rendevano rispettivamente lo 0,92% e lo 0,12%. Nel frattempo, il dollaro si è indebolito proprio per il venir meno dell’appeal dei cosiddetti “safe assets”. Le vaccinazioni contro il Covid sono iniziate in gran parte del mondo e gli investitori iniziano a intravedere la fine della pandemia, non imminente, ma certamente entro il prossimo futuro. E con essa, basta “lockdown”.

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L’impatto sui mercati emergenti

Questo trend non sta facendo bene ai mercati emergenti. Ad esempio, il rand sudafricano ha perso contro il dollaro il 5% nelle ultime tre settimane. Quello che sta accadendo è piuttosto semplice da spiegare: il rialzo dei rendimenti americani riduce l’appetibilità dei bond emergenti, pur molto più remunerativi, a fronte di un rischio di credito decisamente maggiore.

Siamo dinnanzi a uno scenario di attesa reflazione. Gli stimoli fiscali negli USA dovrebbero far tornare a crescere la prima economia mondiale e “surriscaldare” il tasso d’inflazione, elevando i rendimenti nominali richiesti dal mercato, specie sulle scadenze medio-lunghe. Peraltro, le quotazioni del Brent sono risalite nei pressi dei 57 dollari, ai massimi dal febbraio 2020, dopo che l’Arabia Saudita ha annunciato che taglierà la propria offerta di petrolio nei prossimi due mesi.

E l’inflazione non colpirà solo gli USA. In Sudafrica a novembre stava già al 3,20%, un soffio sotto i tassi d’interesse, fissati dalla banca centrale al 3,50%. Margini di manovra per un eventuale ulteriore allentamento monetario Pretoria non ne disporrebbe più, per questo il rand è sotto pressione e difficilmente i rendimenti sovrani potranno continuare a scendere.

Per contro, poiché una quota sostanziale delle esportazioni sudafricane è rappresentata dai metalli industriali e preziosi, il loro rincaro dovrebbe sostenere sia l’economia emergente, sia lo stesso tasso di cambio. Per il momento, quindi, più che attenderci una precisa direzione per i titoli di stato sudafricani, saremmo dinnanzi a una fase di stasi. Il rally sarebbe almeno temporaneamente finito, in attesa che gli investitori capiscano come si evolveranno gli indicatori macro domestici e internazionali.

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