Il Cremlino ha dispiegato 100.000 soldati al confine con l’Ucraina, facendo temere in Occidente un’invasione imminente da parte della Russia. Tra smentite e tentativi di dialogo tra le parti, i bond russi stanno attraversando una fase difficile sui mercati. Gli investitori temono che nel caso in cui i carri armati entrassero in territorio ucraino, USA ed Europea diano seguito alla minaccia di sanzioni finanziarie e commerciali durissime. Addirittura, c’è chi paventa l’esclusione della Russia dallo SWIFT, il sistema internazionale dei pagamenti gravitante attorno al dollaro.

L’Eurobond in dollari 31 marzo 2030 e cedola 7,5% ha perso il 6,7% dai massimi toccati nel novembre scorso, pur restando nettamente sopra la pari a una quotazione di 108. Peggio è andata al bond, sempre in dollari, con scadenza 27 marzo 2035 e cedola 5,10%, che ha lasciato per strada il 9% dall’inizio dell’anno. Attualmente, offre un rendimento in area 4,30%, a premio di circa 230 punti base rispetto al Treasury di pari durata.

Bond Russia, ecco i fondamentali favorevoli

Per quanto la situazione sia critica, i fondamentali non autorizzano a tale pessimismo, specie nel caso in cui le tensioni geopolitiche rientrassero. Anzi, non sono in pochi tra gli analisti a ritenere che le sanzioni dell’Occidente, per quanto dure possano essere, non finirebbero per colpire così pesantemente come crediamo l’economia russa. A dirla tutta, esistono diverse ragioni per non vedere nero in ogni caso. Anzitutto, la Banca di Russia detiene riserve valutarie altissime, pari a oltre 630 miliardi di dollari alla fine di dicembre, equivalenti al 37% del PIL. E ha una forte credibilità sui mercati, tant’è che ha già reagito più volte negli ultimi mesi contro l’inflazione salita all’8,4% a dicembre, fissando i tassi d’interesse all’8,5%, poco sopra.

Le partite correnti esitano saldi cronicamente positivi, un fatto che rasserena circa il rischio sovrano corso dai bond in valute estere.

Per non parlare del fatto che tutte le agenzie di rating internazionali assegnino ai titoli di stato giudizi “investment grade”. Il debito pubblico russo, in effetti, ha chiuso il 2021 ad appena il 18% del PIL. I conti pubblici sono ordinati, in deficit poco oltre il 2% nel 2021, sostenuti dalla ripresa delle quotazioni petrolifere. Esse hanno sfondato la soglia dei 90 dollari al barile nella seduta di ieri. Non accadeva dal 2014. Considerate che, ai prezzi e al tasso di cambio attuali, la Russia incassa oltre 6.800 rubli per barile contro i poco più dei 4.000 di inizio 2020, prima della pandemia. Da allora, quindi, registra un boom dei ricavi del 70%, a beneficio delle entrate fiscali.

Questi dati ci fanno ritenere che il rublo stesso sia sottovalutato e che i rischi a carico dei bond in valuta locale ed estera siano inferiori a quanto lascino supporre i rendimenti. Il decennale in rubli offre il 9,31%, +240 punti base da agosto. Il biennale è salito al 9,55%, segnando un rialzo di ben 280 punti nello stesso arco di tempo. In assenza di un’invasione dell’Ucraina, i bond della Russia diverrebbero molto appetibili, sia in rubli che in dollari ed euro. E anche nello scenario peggiore, la leva energetica indurrà l’Europa a mitigare le sanzioni imposte dall’America. Senza il gas e il petrolio di Mosca, resteremmo al freddo e con le tasche vuote.

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