Il bond quinquennale della Juventus, emesso solo un paio di settimane fa, continua ad animare gli animi del calcio italiano, tanto che il patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha sostenuto l’inutilità di vincere per il club bianconero, se poi sia costretto a ricorrere al debito. Subito è arrivata la replica di un altro presidente, quello del Torino, nonché editore di Rcs, Urbano Cairo, che ha invitato sé stesso e De Laurentiss ad aggiornarsi, perché forse l’indebitamento, se finalizzato alla crescita, avrebbe senso.

Ad ogni modo, l’obbligazione bianconera ha compiuto ieri un altro passo in avanti. Fino a lunedì, risultava in possesso dei soli investitori istituzionali a cui il collocamento era stato riservato. Il 26 febbraio, però, a giorni dalla pubblicazione del prospetto informativo, il titolo ha debuttato alla Borsa di Dublino, quotato all’EuroTLX Sim, ISIN: XS1915596222, per cui è divenuto acquistabile finalmente anche dal canale retail, sebbene il taglio minimo resti non accessibile per tutte le tasche: è di 100.000 euro.

Perché il bond Ronaldo emesso dalla Juventus è stato un successo

Peccato che il debutto non sia stato roseo. Contrariamente al collocamento, che si è rivelato un successo, pur con i dubbi di quotidiani finanziari come Bloomberg, il cosiddetto bond “Ronaldo” ha vissuto una prima pessima seduta, aprendo già a una quotazione di quasi il 2% inferiore al prezzo di emissione e chiudendo ancora più giù, cioè a 96,75, perdendo lo 0,77% nel corso della prima giornata di contrattazioni e cedendo il 2,7% rispetto al collocamento. Ricordiamo che il titolo ha cedola 3,375% e che al debutto tra gli istituzionali rendeva in area 3,50%. A questo punto, il crollo della quotazione innalza proprio il rendimento, che sale al 4,05%.

Il fattore Champions

Cos’è successo? Dovremmo partire dai risultati in campo della Juventus, che la settimana scorsa è andata a sbattere in trasferta contro l’Atletico Madrid, perdendo la gara di andata degli ottavi di Champions League per 2 reti a 0.

Se il club bianconero vorrà proseguire il cammino in Europa, dovrà vincere con 3 reti a 0 la gara di ritorno allo stadio Allianz, operazione non impossibile, ma certo nemmeno agevole. E sul prosieguo della corsa verso la finale di Champions la società ha fatto affidamento anche in fase di lancio del bond, il quale non a caso è stato anticipato rispetto alla partita di Madrid, segnalando una tempistica a dir poco perfetta scelta dal management.

Non approdare ai quarti significherebbe per la Juve rinunciare ai ricavi milionari garantiti dalla disputa delle gare europee. Vi abbiamo mostrato in un altro articolo, che il fatturato massimo potenzialmente perduto arriverebbe sui 60 milioni. Ciò ha provocato il crollo delle azioni stesse subito dopo la sconfitta (-12,4%), visto che il mercato sta scontando lo scenario peggiore sul piano dei risultati sportivi in Champions e, di conseguenza, per i bilanci societari. La capitalizzazione in borsa è diminuita di circa 180 milioni in una settimana. Lo stesso bond appare meno solido, dato che l’acquisto di Cristiano Ronaldo nell’estate scorsa comporterà la lievitazione del debito finanziario, che al 30 giugno scorso sfiorava i 310 milioni. Già prima del risultato negativo contro l’Atletico, Banca IMI da qualche mese prevedeva conti in rosso fino al 2022 e in pareggio solo nel 2023.

Il crollo delle azioni Juventus è giustificato dalla sconfitta a Madrid agli ottavi di Champions?

Ricordiamoci, poi, che il bond è stato emesso senza rating ed è “unsecured”, contrariamente a quello dell’Inter di due anni fa. Trattasi, quindi, di un’obbligazione non garantita da assets specifici e che per questo, indipendentemente da quanto accaduto a Madrid e calcisticamente rimediabile, potrebbe avere indotto il mercato retail a guardarla con maggiore scetticismo, sebbene il rendimento resti inferiore a quello nerazzurro di durata due anni più corto e pur essendo quest’ultimo garantito.

E aldilà di come andrà il prosieguo in Champions della Juve, la quotazione del bond risentirà inevitabilmente anche del grado effettivo di liquidità degli scambi, con possibile volatilità elevata, nel caso in cui fossero relativamente pochi gli investitori istituzionali che intendano disfarsene o quelli retail che vogliano acquistarlo e rivenderlo.

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