La favola di Cristiano Ronaldo a Torino è finita dopo più di tre anni. Ma sul groppone della Juventus rimane il bond emesso agli inizi del 2019 e che i media avevano ribattezzato con il nome dell’attaccante portoghese. Malgrado le smentite societarie, fu evidente a tutti che la prima emissione obbligazionaria bianconera si rese necessaria proprio per finanziare l’acquisto di CR7. Il solo costo del cartellino si attestò a 117 milioni di euro, commissioni incluse. Per non parlare dell’impatto del maxi-ingaggio lordo annuo: 54 milioni!

Il bond della Juventus fu emesso per l’importo di 175 milioni di euro ed è quotato alla Borsa di Dublino.

Si parò al tempo di grosso successo. Ed è così. La società torinese poté permettersi di collocare sul mercato un titolo con cedola del 3,375%, la più bassa di sempre per un club calcistico italiano, per giunta non garantito e sprovvisto di rating.

Nella giornata di venerdì, la quotazione si aggirava in area 102,50, per cui il rendimento lordo annuo risultava di poco superiore al 2,30%. Il bond della Juventus è un “callable” con scadenza 19 febbraio 2024 (ISIN: XS1915596222). A conti fatti, oramai presenta una durata residua inferiore ai 2 anni e mezzo. Il rendimento può sembrare elevato rispetto a quanto offrano attualmente i titoli di stato di pari durata, i cui rendimenti sono persino negativi. In realtà, si tratta di una remunerazione molto bassa.

Bond Juventus, conti in rosso con proprietà solida

Per capirlo, dobbiamo pensare alle condizioni finanziarie in cui versa la Juventus, tutt’altro che rosee. E in buona parte, proprio l’arrivo di CR7 nell’estate del 2018 contribuì a deteriorarle rapidamente. Da quando il bond è stato emesso, la società bianconera di Andrea Agnelli ha maturato perdite per quasi 350 milioni e varato aumenti di capitale per 700 milioni, di cui uno ancora da implementare per 400. Prestereste a cuor leggero denaro a un’azienda che quest’anno si stima possa chiudere in perdita di oltre 235 milioni, a fronte di ricavi per poco più di 455?

Il mercato evidentemente non confida tanto sulla solidità finanziaria dell’emittente, quanto della proprietà che la controlla.

Essa è Exor, la holding di casa Agnelli, una cassaforte ricca e in mano a una delle principali famiglie del capitalismo italiano e mondiale. Non a caso, sborserà in anticipo 75 milioni di euro per la ricapitalizzazione da approvare formalmente in ottobre all’assemblea degli azionisti. Un segnale di rassicurazione al mercato, che gli obbligazionisti sembrano avere colto perfettamente.

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