Ieri, l’Indonesia ha confermato i primi due casi di contagio da Coronavirus, anche se è finita nel mirino dei mercati finanziari già da diverse settimane, data la vicinanza geografica e l’interconnessione con l’economia cinese. Nel mese di febbraio, gli investitori stranieri hanno venduto bond e azioni per un controvalore di 2,2 miliardi di dollari. Solamente la scorsa settimana, il “sell off” ha riguardato per 29 mila e 400 miliardi di rupie le obbligazioni e per 4 mila e 200 miliardi le azioni, pari a un totale di 2,4 miliardi di dollari.

Per arrestare i deflussi, la Banca d’Indonesia ha acquistato titoli del debito sovrano per 87 mila miliardi (6,2 miliardi di dollari), ma al contempo ha tagliato anche i tassi di 25 punti base al 4,75%, al fine di offrire sostegno a un’economia colpita dalla congiuntura internazionale.

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Anche per effetto di queste misure monetarie espansive, il tasso di cambio contro il dollaro si è indebolito di quasi il 5% in meno 5 settimane, salendo a un massimo di 14.375 nella seduta di ieri. E i rendimenti sovrani si sono impennati, passando dal 6,52% al 7,04% in 5 settimane per la scadenza a 10 anni e tornando ai livelli di inizio anno, scendendo nel frattempo di una settantina di punti base (-0,70%) per quella a 3 anni, attestandosi in area 5,50%.

L’indebolimento della rupia indonesiana è al contempo causa e conseguenza delle vendite di bond e azioni. Dall’estero, si guarda con preoccupazione crescente al rischio di cambio e per non subirne i contraccolpi ci si libera dei titoli in valuta locale, ma a loro volte le vendite e la conseguente riconversione nelle valute straniere alimenta la debolezza del cambio. E due delle principali materie prime dell’Indonesia stanno subendo un duro colpo dal Coronavirus, a causa dello stop alla produzione in gran parte della Cina.

Le esportazioni di carbone e olio di palma si sono ridotte, facendo affluire nel paese emergente minore valuta straniera, contribuendo a deprezzare la rupia.

Recuperi in vista?

Esistono margini di recupero nel breve termine per il mercato obbligazionario indonesiano? I fondamentali autorizzano a sperarvi. L’ultimo dato sull’inflazione è al 3%, nettamente inferiore ai tassi nominali, per cui la Banca d’Indonesia disporrebbe di qualche taglio ulteriore da varare nel caso si rendesse necessario per sostenere l’economia domestica. Certo, la manovra è limitata dal cambio debole, il quale non solo segnala che Giacarta non sarebbe nelle condizioni ideali di manovrare i tassi a proprio piacimento, in più farebbe lievitare l’inflazione nei mesi successivi per l’aumento – ceteris paribus – dei costi dei beni importati.

Dalla sua, però, l’Indonesia ha un rating medio-alto, cioè due gradini sopra il livello massimo “junk”, più alto di altre economie emergenti come Turchia, Sudafrica e alla pari con l’India. Questo depone a favore del paese nel caso in cui il flusso dei capitali si dirigesse nelle prossime settimane verso le economie emergenti più solide, scartando quelle finanziariamente percepite più deboli. Insieme alla Thailandia, risulta in condizione migliore per tornare ad attirare investimenti, man mano che l’allarme globale per il Coronavirus inizierà ad affievolirsi.

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