Esporsi verso una valuta emergente, ma attraverso un emittente sovranazionale sicuro. Questo può essere un suggerimento per investire in tempi di magra sul fronte dei rendimenti. Sappiamo che se oggi uno volesse rimanere sul mercato obbligazionario domestico, dovrebbe fare i conti con una curva delle scadenze negativa fino ai 5 anni e che virtualmente neppure più riuscirebbe a coprire dall’inflazione da qui a 50 anni. All’estero, va pure peggio. La Germania ha Bund con rendimenti tutti negativi. Neppure impiegando i capitali per 30 anni si ottiene alcunché, anzi bisogna pagare lo stato tedesco per il privilegio di prestargli denaro.

Per fortuna, non tutti i bond sono eguali, sebbene quelli che offrono rendimenti superiori o celano un rischio di credito più alto o uno di cambio.

Il primo può essere soppresso investendo in obbligazioni sovranazionali, come anticipato. Due anni fa, la Banca Mondiale emise un bond in lire turche per 250 milioni, in scadenza l’8 novembre del 2021 e maxi-cedola 20% (ISIN: XS1904803134). L’elevatissimo tasso offerto avrà fatto gola a tantissimi investitori istituzionali, quelli a cui generalmente queste emissioni sono rivolte nei fatti. Perché così tanto? Evidentemente, perché rispecchiava un rischio altrettanto elevato. Di cosa? Di cambio. Nel 2018, ai tempi dell’operazione, la Turchia stava affannandosi di emergere da una potente crisi valutaria, che nell’intero anno portò il suo cambio a deprezzarsi del 28% contro il dollaro. Immaginiamo di avere acquistato un lotto minimo di 10.000 lire all’atto del collocamento del titolo sul mercato. Cerchiamo di capire se l’investimento si sarebbe rivelato azzeccato o meno.

Speculare sulle valute emergenti, attraverso tre emissioni della Banca Mondiale

Simulazione dell’investimento

Il bond venne emesso a un prezzo di 97,875 centesimi, per cui avremmo speso effettivamente 9.785,50 lire, pari a 1.576 euro al tasso di cambio di allora. In data 8 novembre 2019, avremmo incassato la prima cedola, che essendo del 20% su 10.000 lire nominali, sarebbe stata di 2.000 lire.

Al cambio di 13 mesi fa, sarebbero stati 322 euro. L’8 novembre scorso sarebbe arrivata la seconda cedola, che stavolta per effetto del crollo della lira accusato negli ultimi mesi contro le valute forti, sarebbe stata pari a soli 200 euro. E supponendo di rivendere oggi il bond a un prezzo superiore a 104, incasseremmo 10.438 lire, più il rateo della cedola maturata dall’ultimo stacco, per un controvalore totale di circa 1.120 euro. In tutto, l’operazione ci avrebbe reso 1.644 euro, a fronte dei 1.576 spesi. Il rendimento in valore assoluto risulterebbe di appena circa 75 euro, pari al 4,76%, che annualizzato esiterebbe un rendimento lordo del 2,3%.

Siamo partiti attratti dalla tentazione di un rendimento a doppia cifra e siamo arrivati a percepire poco più del 2% all’anno. Potremmo considerarlo un flop? Dipende dai punti di vista. Se contempliamo il grado di rischio che ci siamo assunti con l’investimento, è evidente che avremmo potuto e dovuto investire meglio. Se pensiamo, però, che oggi non esistano neppure lontanamente alternative di pari rendimento e per un periodo così breve, potremmo affermare che ci sia andata pure bene. E, però, bisogna ammettere che i risultati siano inficiati dalla tempistica di uscita dall’investimento. Se attendessimo la scadenza, tra valore del capitale in lire più basso di quello odierno (il rimborso avverrà alla pari, cioè a 100) e ulteriori possibili cedimenti del cambio, finiremmo probabilmente per rimetterci. In altre parole, le valute emergenti “calde” come la lira turca vanno lasciate a chi sa muoversi per tempo sui mercati, perché si finisce in molti casi per scottarsi.

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