L’emissione obbligazionaria di questa settimana è andata bene alla Turchia. Un bond in dollari a 5 anni ha raccolto ordini per 5 miliardi, a fronte di un’offerta di 1,5 miliardi. Ankara ha dovuto, però, offrire una cedola elevatissima del 9,875%. Pertanto, il mercato ha preteso un premio nell’ordine di almeno mezzo punto percentuale rispetto all’attuale quinquennale in valuta americana negoziabile sul secondario.

Del resto, stiamo parlando di un bond in dollari con rating B/B/B3. Il rischio di evento creditizio è altissimo, anche perché con l’emissione di questa settimana la Turchia ha raccolto solo 9 degli 11 miliardi di dollari che il governo si è prefissato per quest’anno.

Lo scorso anno, invece, il paese raccolse 10 miliardi sui mercati internazionali.

Il problema si avrà nel 2023, quando arriveranno a scadenza 18,8 miliardi di dollari e 3,8 miliardi di euro di obbligazioni e prestiti. La Turchia dovrebbe più che raddoppiare l’entità delle emissioni sui mercati esteri per ripagare i debiti senza gravare sulle riserve valutarie. Anche perché queste versano in condizioni assai critiche.

Bond in dollari con crisi lira turca

Il successo del bond in dollari lo si è avuto anche grazie agli investitori domestici, i quali hanno inciso per il 27% degli ordini, superati solo dal 33% degli americani. A seguire il Regno Unito con il 22% e l’Europa con il 10%. Questi numeri dimostrerebbero che il mercato turco stesso sarebbe a caccia di asset in valute forti per proteggersi dal crollo senza fine della lira. In un certo senso, se i rendimenti non stanno esplodendo oltremisura è solo perché la crisi del cambio incoraggia ad investire in obbligazioni emesse sui mercati internazionali.

Ma possiamo anche affermare che, in una certa misura, queste stesse emissioni contribuirebbero alla crisi della lira, tenendo elevata la domanda di dollari da parte degli stessi turchi. L’unica certezza è che siamo dinnanzi a una gestione monetaria disfunzionale.

I tassi d’interesse scendono e l’inflazione sale, in controtendenza rispetto al resto del mondo. I capitali fuggono e le agenzie declassano il rating sovrano. Difficile che questo circolo vizioso cessi prima delle elezioni del 2023. Anzi, non è neppure detto che il presidente Erdogan, una volta che fosse rieletto, cambi impostazione economica. Per altri cinque anni non dovrebbe dare conto del disastro finanziario sotto gli occhi di tutti.

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