Venerdì scorso, Moody’s ha promosso il rating sovrano della Grecia a Ba3 da B1. E’ stato un passo compiuto a sorpresa e piuttosto raro in questi mesi. L’agenzia ha giustificato l’upgrade con i miglioramenti avvenuti sul fronte delle riforme da parte del governo di Atene, tra l’altro per rendere più efficiente la macchina della riscossione delle imposte e della lotta alla corruzione. L’istituto ha anche notato che i rendimenti ellenici siano diventati molto bassi grazie all’accodamento monetario della BCE e che i rapporti tra Grecia e Unione Europea sono migliorati.

Adesso, il rating è a tre gradini dal livello minimo nell’area “investment grade”, in linea con il giudizio di S&P (BB-) e un gradino sotto quello di Fitch (BB).

In settimana, la curva dei rendimenti ellenica è scivolata ai nuovi minimi storici. La scadenza a 3 anni è arrivata ad offrire fino al -0,079%. Il bond gennaio 2023 e cedola 3,50% (ISIN: GR0114030555) ancora ieri pomeriggio viaggiava di poco sotto lo zero.

La Grecia continua a restare nell’area “junk”, cionondimeno può vantare la capacità di rifinanziarsi per il medio-breve termine a tassi negativi per via della copertura offertale dalla BCE. Dal marzo scorso, i suoi titoli di stato risultano acquistabili da Francoforte attraverso il PEPP, il piano d’emergenza contro il Covid da 1.350 miliardi. Non lo sono ancora con il “quantitative easing”, il programma ordinario di acquisti per 20 miliardi al mese, in quanto “non investment grade”.

In realtà, Atene sta beneficiando per il suo outlook anche del forte sostegno ricevuto attraverso il Recovery Fund, con 32 miliardi tra sovvenzioni e prestiti da utilizzare nel prossimo triennio. Un toccasana per un’economia collassata di un quarto dalla crisi finanziaria del 2008-’09. Poco importa per i mercati che il debito pubblico a fine 2020 salirà in area 200% del PIL. Infatti, nota la stessa Moody’s, la spesa per interessi sostenuta dalla Grecia è di poco superiore al 6% delle entrate, meno di quanto non sia per gli altri stati con uguali rating.

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Urge l’upgrade a “investment grade”

E così, la scadenza a 10 anni è scesa sotto lo 0,80%, ai minimi di sempre. Il bond più longevo, che sarà rimborsato nel lontano 2042, offriva ieri appena l’1,17%. Ma il punto è capire entro quanto tempo il rating ellenico possa tornare in area “investment grade”. Prima del Covid, analisti e investitori scontavano che ciò sarebbe accaduto entro la fine del 2021, adesso le cose si sono complicate. E non è questione da poco. Senza riottenere almeno la tripla B, la Grecia non potrà essere inserita nel QE e quando il PEPP sarà cessato, i suoi titoli del debito rischiano di non essere più acquistati dalla BCE.

Nulla impedirebbe a Francoforte di farlo, rinunciando alla clausola che lega gli acquisti al rating IG, ma difficilmente i governatori del Nord Europa saranno concordi.

Per contro, il Tesoro possiede liquidità per 37 miliardi, circa 20 punti di PIL. Essa è stata ricavata attraverso gli aiuti europei del 2015 rimasti inutilizzati e tramite emissioni di nuovo debito a medio-lungo termine nell’ultimo biennio. Nei fatti, Atene ha potuto superare brillantemente lo shock della pandemia senza dover ricorrere ai mercati, se non per tenere inalterati i livelli delle scorte liquide e persino accrescerle con la raccolta di altri 12 miliardi. Resta l’anomalia di uno stato andato nei fatti in default nel decennio scorso, sottoposto a ben tre salvataggi internazionali in poco più di 5 anni e che oggi potrebbe venire pagato dagli obbligazionisti per vendere loro il suo debito.

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