Che i rendimenti dei bond emessi da una società praticamente a un passo dal fallimento, anziché esplodere, stiano scendendo e attestandosi su livelli del tutto ordinari fa impressione. Eppure, sta accadendo alle obbligazioni di Eskom Holdings, la società elettrica di stato del Sudafrica. Oberata da un gigantesco debito accertato al 31 marzo scorso per 389 miliardi di rand, pari a 24,6 miliardi di euro di oggi, non sarebbe più in grado di camminare con le proprie gambe, anzi nemmeno di assicurare il servizio ai clienti, il 90% della popolazione sudafricana.

Per questo, il governo starebbe per imbarcarsi in un salvataggio pubblico della società, anche perché 260 miliardi dei debiti di questa sono garantiti dallo stato. Dunque, nel caso di default, i creditori avrebbero titolo per fare valere la garanzia nei confronti del governo.

Sta di fatto che lo stesso bilancio statale appare navigare in cattive acque. Il deficit viaggia al 4% e il rapporto tra debito e pil alla fine del 2017 si attestava sopra il 53%. S&P e Fitch giudicano “junk” o “spazzatura” i titoli sudafricani, mentre Moody’s conserva il rating “investment grade” con una valutazione “Baa3”, la stessa che viene assegnata alle obbligazioni Eskom garantite, mentre per le altre ha un giudizio inferiore. Se Pretoria dovesse farsi carico anche dei debiti della controllata, il suo rapporto debito/pil risulterebbe già salito a oltre il 60%.

Tornando ai conti di Eskom, questi sono stati affossati da pessima governance e corruzione, secondo criticità che ci ricordano tristemente i casi delle compagnie petrolifere statali sudamericane, ossia della venezuelana PDVSA e della brasiliana Petrobrás. In effetti, lo stesso ultimo bilancio annuale approvato certifica contratti per 2,3 miliardi di rand, pagati verso aziende già escluse da collaborazioni con la società elettrica per corruzione. E secondo la Banca Mondiale, ad Eskom basterebbero 14.000 dipendenti, anziché gli attuali 47.000.

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I pessimi numeri di Eskom

Il debito di Eskom equivale a 8,6 volte il suo Ebidta, quest’ultimo a 45,4 miliardi al 31 marzo scorso, nonché a oltre 10 volte la liquidità netta operativa di 37,6 miliardi.

Circa un quarto del fatturato da 177 miliardi, poi, è dedicato ad onorare il debito e l’ultimo esercizio si è chiuso con una perdita netta da 2,3 miliardi. In sostanza, la società fattura poco e non genera flussi di cassa sufficienti per adempiere alle scadenze. Da qui, la richiesta di aiuto allo stato, che dovrebbe arrivare a giorni, tenuto conto che entro il 20 febbraio il governo dovrà svelare il suo bilancio. Gli stessi conti pubblici sono sotto sorveglianza da parte delle agenzie di rating, con Moody’s che ha sinora tenuto in vita gli investimenti dei fondi esteri sui bond sudafricani solo per il credito concesso alla svolta politica di un anno fa, quando l’ex presidente Jacob Zuma fu sostituito da Cyril Ramaphosa, quest’ultimo fautore di un’agenda riformatrice di cui non si è vista attuazione pratica.

Lo scorso agosto, Eskom ha emesso un bond decennale in dollari al 6,35%. Oggi, lo stesso rende appena il 6,24%, quotando di poco sopra la pari (100,75), a fronte di una cedola del 6,35%. Il titolo aveva chiuso il 2018 in area 96, per cui risulta avere guadagnato quest’anno circa il 5%. Stesso discorso per l’altro bond, quello con scadenza 2025 e cedola 7,125%, anch’esso denominato in dollari, che da inizio anno ha messo a segno un rialzo del 6,3%, rendendo in area 7,3%. E il bond 2021, cedola 5,75%, sempre in dollari, ha guadagnato anch’esso oltre il 3% nelle ultime sei settimane. Evidentemente, in tutti i casi sta avendo effetto l’attesa del salvataggio statale. Il punto è che si rischia un effetto domino negativo nel caso di intervento del governo. Il default sarebbe evitato, ma forse sarebbe meglio dire rinviato, in quanto il rating sovrano sudafricano rischierebbe di essere declassato ulteriormente, con inevitabile rialzo dei rendimenti e declassamenti conseguenti anche dei titoli di Eskom garantiti.

Si consideri che il rand sudafricano ha perso il 9% contro l’euro nell’ultimo anno. Ciò già rende poco appetibili i decennali al 9% o gli stessi biennali al 7,2%. La fuga dei capitali rischia di essere massiccia, anche in previsione delle elezioni presidenziali di fine anno, alle quali l’African National Congress al potere sin dalla fine dell’apartheid si prepara con un programma dai toni pericolosi per la tenuta sociale del Sudafrica. Tra le misure paventate da Ramaphosa vi è, ad esempio, l’esproprio senza indennizzo delle terre ai bianchi per redistribuirle alla maggioranza nera. Nel vicino Zimbabwe, ciò portò al collasso economico e all’esplosione dell’iperinflazione.

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