E’ terminato con successo il collocamento da parte di Eni di un’obbligazione in dollari, avvenuto la settimana scorsa. Si è trattato di un bond decennale, con cedola al 4,25% e un prezzo di re-offer di 99,742%. La domanda è stata di 4,6 miliardi, cioè 4,6 volte superiore all’importo offerto, riscuotendo parecchio interesse tra gli investitori istituzionali. L’emissione è stata eseguita su deliberazione del consiglio di amministrazione del Cane a sei zampe in aprile, finalizzata al mantenimento di una condizione finanziaria equilibrata a breve e medio-lungo termine.

I proventi dell’operazione, spiega la società, saranno utilizzati per i fabbisogni ordinari.

Uno tra rendimenti USA e cambio euro-dollaro mente

Il precedente collocamento in dollari risaliva al settembre scorso, quando erano stati emessi due bond a 5 e 10 anni per un controvalore complessivo di 2 miliardi, a fronte dei quali gli ordini furono pari a 10 miliardi, 5 volte tanto. Allora, il rendimento esitato fu superiore al 4% per il quinquennale e intorno al 4,8% per il decennale, per cui possiamo affermare che Eni sia riuscita nei giorni scorsi a indebitarsi in dollari a costi inferiori rispetto a quelli che aveva sostenuto solo 8 mesi fa.

Ricordiamo che il colosso energetico vanta un rating “A-” con outlook stabile per Standard & Poors e Fitch e “Baa1” con outlook stabile per Moody’s, migliore in tutti i casi di quello sovrano dell’Italia. Non stupisce, quindi, che esso si rifinanzi sui mercati a costi nettamente più bassi di quelli sostenuti dal Tesoro di Roma. Ad esempio, oggi il decennale con scadenza nel gennaio 2029 rende solo poco più dell’1,20%, meno della metà del BTp a 10 anni.

Il bond Eni in dollari conviene?

E il bond in dollari di fresca emissione? Offre circa 70 punti base in più dell’omologo Treasury, uno spread relativamente basso. Quanto alla convenienza per un investitore dell’Eurozona, bisogna premettere che il principale rischio mostrato dal bond riguarda il cambio.

Dal raffronto tra il decennale in euro e quello in dollari, infatti, notiamo che la differenza di rendimento sia superiore ai 300 punti base o 3%, circa il 30% nell’arco del decennio. Dunque, ci converrebbe acquistare il bond Eni in dollari solo se scontassimo un apprezzamento del cambio euro-dollaro da qui alla scadenza inferiore al 30%.

Stando ai corsi attuali, dedurremmo che la preferenza verso il bond Eni in euro si avrebbe nel caso in cui prevedessimo che tra una decina di anni il cambio euro-dollaro si aggirasse nei dintorni – se non sopra – di 1,45. Viceversa, dovremmo preferire il bond Eni in dollari. Ora, a distanza di così tanto tempo non è credibile alcuna previsione. Semmai, vi forniamo le attese del mercato, per quello che varrebbero: dallo spread Treasury-Bund a 10 anni, ricaviamo che il cambio euro-dollaro scontato tra 10 anni dagli investitori e che renderebbe del tutto equivalente acquistare oggi titoli di stato USA o della Germania sarebbe nei dintorni di 1,40, cioè del 25% superiore al rapporto odierno.

In altre parole, il premio offerto da Eni sul bond appena emesso in dollari rispetto al rendimento esitato dai suoi bond in euro di pari scadenza risulterebbe appetibile per un investitore della stessa Eurozona, in quanto più che coprirebbe il deprezzamento presunto del biglietto verde contro la moneta unica. E si consideri che la stessa cedola garantirebbe flussi di reddito relativamente generosi entro la scadenza, specie nei primi anni, qualora il dollaro dovesse restare forte contro le principali valute, per via del livello dei tassi USA ancora relativamente elevato.

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