Negli anni in cui i rendimenti obbligazionari sono stati infimi sui mercati avanzati, gli investitori sono andati spesso e volentieri a caccia di bond emergenti. Il rischio di credito è più alto, ma perlomeno s’incassano cedole sostanziose. Fino alla pandemia, ad essere obiettivi, i casi di default erano diventati rari anche sui mercati emergenti, specie tra i governi. La situazione è molto cambiata nell’ultimo biennio. E in queste settimane si discute molto del possibile crac del Ghana, stato dell’Africa occidentale.

Solamente un anno e mezzo fa, il paese emise un bond in dollari senza cedola con scadenza nel 2025. Il mercato lo comprò a forte sconto, ma in questi giorni è sceso a una quotazione inferiore a 30 centesimi. Il rendimento annuo lordo è così esploso sopra il 66%.

Che quelli del Ghana siano bond emergenti ad altissimo rischio lo confermano le stesse parole del ministro delle Finanze, John Kumah. L’uomo si è appellato ai creditori, affinché sulle obbligazioni in valuta straniera accettino un “haircut” del 30% e la sospensione delle cedole per qualche anno. Secondo le indiscrezioni, il governo di Accra valuterebbe l’emissione di nuovi titoli da offrire in cambio di quelli esistenti con cedola zero per il primo anno, al 5% per il secondo e al 10% per il terzo.

Bond emergenti su dopo proposta del governo

La situazione finanziaria del Ghana è al collasso. Il cedi, la valuta locale, è la peggiore dell’anno contro il dollaro: -57%. Al fine di difendere il cambio, il governo vorrebbe acquistare petrolio vendendo oro. Gli interessi sul debito pagati nel primo semestre hanno ammontato al 68% delle entrate fiscali. E’ inutile ostinarsi a ignorare la realtà. Di fatto, il debito pubblico ghanese non è sostenibile.

Questi bond emergenti hanno registrato qualche variazione positiva dopo la proposta pubblica del ministro. Il realismo sembra essere apprezzato. Anche perché la ristrutturazione avverrebbe contestualmente all’ottenimento di un prestito da 3 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale.

Ed è arcinoto che l’istituto chieda sempre ai governi assistiti di imporre prima perdite sui creditori privati per erogare le sue tranche.

Se la ristrutturazione si concretizzasse, le agenzie di rating declasserebbero i bond emergenti a “Selective Default” o “Restricted Default”. Questa esperienza insegna a valutare bene le opportunità di investimento sui mercati emergenti. Alti rendimenti possono attirare i capitali nel breve periodo, ma rischiano di infliggere perdite pesanti nel lungo. Certo, se l’“haircut” fosse limitato al 30% del valore nominale dei bond, ai prezzi attuali gli obbligazionisti potrebbero persino ritenersi fortunati. Ma ci sarà da fare i conti verosimilmente anche con cedole sospese e il concambio di titoli a più lunga scadenza (“roll over”), un fatto che abbasserebbe ulteriormente le valutazioni del mercato.

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