Il Ghana avrebbe pagato la cedola semestrale del bond in scadenza il 12 ottobre 2030 e cedola 10,75% (ISIN: XS1297557412). E sembra una notizia sorprendente dopo che nel dicembre scorso Accra annunciava il default su buona parte del suo debito estero. In realtà, il titolo in questione era stato garantito dalla Banca Mondiale per 400 milioni di dollari su un totale di 1 miliardo relativo all’emissione nel 2015. La quotazione sul mercato secondario è risalita nelle ultime sedute a quasi 68 centesimi, offrendo un rendimento alla scadenza di quasi il 20% lordo all’anno.

Ma il pagamento della cedola non deve trarre in inganno: il Ghana resta in default e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) questo mese ha lanciato un monito dalle conseguenze dirompenti per l’intero mercato dei bond emergenti.

Monito FMI precedente storico

L’istituto con sede a Washington ha stanziato 3 miliardi di dollari a favore del paese africano, ma ha fatto presente che inizierà a sborsarli solo dopo che anche i creditori domestici si saranno accollati le perdite. Un’affermazione così esplicita non c’era mai stata prima. Ad oggi, sappiamo che l’FMI richiede riforme macroeconomiche in cambio dei prestiti e un accordo preliminare con i creditori privati stranieri per la rinegoziazione del debito. Nei paesi emergenti, i creditori domestici erano stati sempre esclusi da una simile richiesta esplicita, non fosse altro che per la loro marginalità.

Invece, con il caso del Ghana abbiamo appreso che d’ora in avanti anche i bond emergenti denominati in valuta locale possono dover essere rinegoziati prima che l’FMI eroghi la prima tranche di un prestito. Non si tratta di un vero cambio di linea, bensì di presa d’atto della mutata realtà finanziaria mondiale. Il mercato obbligazionario domestico aveva dimensioni ridotte nelle economie poco sviluppate fino a non molto tempo fa. Ma proprio il Ghana ci fa capire che non è più così.

A fronte di un debito pubblico all’86% del PIL, il 45% è denominato in valute estere, il restante 41% in valuta locale. Con una differenza rilevante: il primo costa in media il 9,4%, il secondo il 21,5%.

Bond emergenti, situazione cambiata

E’ evidente che avrebbe poco senso rinegoziare il solo debito estero. Infatti, quasi dieci punti di PIL è il costo degli interessi sul debito domestico. Una situazione analoga la hanno economie di maggiore importanza come Egitto e Pakistan. Dunque, i rischi per i bond emergenti non riguardano soltanto le emissioni in valute straniere come dollaro, euro, sterlina, ecc. I bond emergenti sono tutti rischiosi. Certo, ci sono emittenti come India, Sudafrica e Brasile che quasi non hanno debito estero. In un certo senso, riescono a gestire debiti elevati senza dover accusare grossi contraccolpi. D’altra parte, se dovessero mai avere problemi estremi di sostenibilità fiscale, proprio i rispettivi bond in valuta domestica ne pagherebbero il prezzo più alto.

Il Ghana resta in condizioni difficilissime. Due anni fa, emise un bond in dollari USA senza cedola a 4 anni, in scadenza nel 2025. L’assenza di cedola fece subito prezzare il titolo a livelli molto bassi. Quando mancano meno di due anni alla data teorica del rimborso, la quotazione è sprofondata ad appena 33 centesimi e rotti. Il corrispondente rendimento lordo annuale risulta del 75%. Numeri che parlano da soli.

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