Quest’anno, l’iShares J.P. Morgan $ EM Bond UCITS ETF – USD segna una modesta performance del +0,47%, ma che si confronta con il -20% che a un certo punto segnava nel mese di marzo, quando i capitali si misero in fuga verso i cosiddetti “porti sicuri”, allarmati per l’emergenza Coronavirus. I bond emergenti in dollari sono emessi da stati, società e banche sui mercati non ancora maturi per attirare capitali, liberandoli dal rischio di cambio. E’ vero che anche il dollaro può indebolirsi, ma la volatilità di valute come lira turca, rupia indiana, real brasiliano, rublo russo o peso messicano certamente sarebbe molto più elevata e tale da persuadere gran parte degli investitori a stare alla finestra, pretendendo alti interessi per buttarsi nell’affare.

Bond emergenti con rendimenti fin sopra il 9%

Molti governi e società nei paesi emergenti s’indebitano in dollari, così come in altre valute forti, al fine di spuntare costi di rifinanziamento quanto più bassi possibili, ma esponendosi essi stessi al rischio di cambio. Se la valuta del paese s’indebolisce contro quella in cui ci si è indebitati, l’emittente subisce un aggravio dei costi e la sostenibilità dei debiti stessi si affievolisce. Per capire di cosa parliamo, pensate al Venezuela o all’Argentina di questi anni.

Il governo americano, tramite il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, ha rassicurato nei giorni scorsi sul sostegno al dollaro contro un possibile eccessivo deprezzamento del suo tasso di cambio, notando che esso sia pur sempre la valuta di riserva mondiale. Un dollaro stabile farebbe comodo agli stessi emergenti, in quanto incentiverebbe gli investitori a comprare obbligazioni su questi mercati per ottenere rendimenti elevati in tempi di tassi (reali) nulli o persino negativi su quelli maturi.

Il rischio di tassi USA più alti

Ad esempio, il bond sovrano turco in scadenza nel gennaio 2030 e con cedola 11,875% (ISIN: US900123AL40) offre attualmente il 5,80%, che confrontandosi con lo 0,60% del Treasury di pari durata si mostra molto remunerativo.

Se il Treasury salisse a un rendimento del 2%, per ipotesi, a parità di spread desiderato dal mercato per investire sul debito di Ankara, il titolo dovrebbe deprezzarsi fino ad offrire oltre il 7%.

Ma cosa significa che il dollaro verrà sostenuto dal governo USA? Se il sostegno avvenisse solamente tramite una maggiore disciplina fiscale di medio-lungo periodo, tale da contenere la domanda interna e, quindi, i disavanzi commerciali, tutto sommato sarebbe un buona notizia per gli emergenti, tranne per quelli esportatori netti verso gli USA. Se, però, le parole di Mnuchin preludessero a un ciclo monetario meno espansivo, il rialzo dei rendimenti americani farebbe molti danni a tutto il mercato obbligazionario emergente, compreso quello in valute locali. A quel punto, la maggiore concorrenza del debito americano farebbe lievitare i costi di emissione e il beneficio di un dollaro stabile evaporerebbe.

Del resto, se alcuni paesi non riescono a fare a meno del debito estero per finanziare la loro crescita è essenzialmente dovuto a due ragioni: alla scarsa fiducia dei mercati verso la capacità dei loro governi di perseguire la stabilità dei prezzi e dei tassi di cambio; alla scarsa disponibilità di capitali domestici, conseguenza di bassi tassi di accumulo dei risparmi. I bond emergenti in dollari diventano attraenti nelle fasi di azzeramento dei tassi americani ed europei, meno quando questi risalgono per via di una migliorata congiuntura economica nei due continenti. In sostanza, ai paesi emergenti serve che l’inflazione USA e nell’Eurozona resti a lungo quanto più bassa possibile. Solo così, potranno confidare in un ambiente globale di bassi tassi e, quindi, in costi di emissione in dollari contenuti.

Bond emergenti, ecco due titoli ad alto rischio in dollari da cui guardarsi bene

[email protected]