La Bielorussia vive un momento assai delicato. Dopo le elezioni presidenziali di un paio di domeniche fa, a Minsk sono esplose numerose e incessanti proteste di piazza contro i risultati presumibilmente truccati, i quali hanno assegnato con l’80% la vittoria al sempiterno presidente Aleksander Lukashenko, al potere dal 1994. Si tratta della peggiore crisi politico-istituzionale che il paese vive dalla caduta dell’Urss e la conseguente secessione. La fase si riflette sulle valutazioni dei titoli di stato denominati in dollari. Ricordiamo che il paese ha rating “B” per S&P e Fitch, “B3” per Moody’s.

Parliamo, quindi, di debito sovrano giudicato “spazzatura”, vale a dire ad alto rischio di insolvenza.

Bielorussia, l’ultimo dittatore d’Europa affronta le proteste dopo la vittoria scontata

Andiamo a vedere i bond. Le obbligazioni con scadenza febbraio 2023 e cedola 6,875% (ISIN: XS1634369067) alla Borsa di Francoforte stamattina si acquistavano a 93,42 centesimi, offrendo un rendimento del 10,43%. Si consideri che le stesse quotavano nettamente sopra la pari al 5 agosto scorso, quando a poco meno di 102 offrivano un rendimento del 6,05%. Dunque, in meno di un paio di settimane sono implose di oltre l’8% e rendono quasi 4 punti percentuali e mezzo in più.

Spostandoci sulla scadenza febbraio 2030, abbiamo il titolo con cedola 6,20% (ISIN: XS1760804184), che si acquista oggi a 91,21 centesimi, rendendo il 7,80%. Dai primi di agosto, perde oltre il 6%, tanto, ma meno del bond triennale. Infine, vi proponiamo il bond febbraio 2031 e cedola 6,3780% (ISIN: XS2120882183). Quotazione a 95,10, in calo di circa il 3% dagli inizi di agosto e rendimento del 7,20%.

Rischio paese aumentato

Come potete notare, i rendimenti diminuiscono lungo la curva delle scadenze, un’anomalia che si spiega di certo con il fatto che il mercato stia scontando tensioni finanziarie e di natura geopolitica per il breve e medio termine. In effetti, la Bielorussia rischia sanzioni occidentali da un lato e ritorsioni russe dall’altro.

Mosca punta a far rientrare formalmente Minsk nella sua orbita, attraverso la fusione tra i due stati. Se Lukashenko continuasse a rifiutarsi di cedere, il petrolio non verrebbe più venduto al paese a prezzi sotto il livello di mercato.

D’altra parte, per Minsk aderire all’Occidente significherebbe fare riforme liberali, come la soppressione dei sussidi e il graduale ritiro dei controlli sui prezzi. Nell’uno e nell’altro scenario, quindi, il paese rischia di transitare per una fase di accelerazione dei tassi d’inflazione, con conseguente aumento dei tassi. In teoria, a farne le spese sarebbero i bond emessi in valuta locale e il basso grado di indebitamento pubblico (28,5% del pil a fine 2019) dovrebbe di per sé rassicurare sui titoli denominati in dollari.

Tuttavia, l’assenza di uno scenario chiaro per il futuro crea incertezze. Le riserve valutarie appaiono insufficienti a garantire le relazioni commerciali nel caso di stress, equivalendo ad appena 4 mesi di importazioni. E se il costo del greggio acquistato da Mosca aumentasse, la pressione su di esse crescerebbe ulteriormente. Non un buon segnale per i bond in dollari, il cui pagamento richiede proprio che l’istituto possegga assets congrui in valute estere forti, indipendentemente dal rapporto debito/pil. Per questo, il debito bielorusso si è fatto più rischioso e lo sarà fino a quando non capiremo dove sfocerà questa crisi politica e in quali mani andrà a finire il paese.

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