Siete a caccia di rendimento, come del resto un po’ tutti in questa fase storica? Non andate in Scandinavia, anzi sì. Se c’è un’area del mondo in cui i bond sono avidi di rendimento questa è il Nord Europa. Certo, rispetto ai livelli tedeschi risultano pur sempre molto più generosi, ma pensate che il decennale sovrano svedese offriva l’altro ieri il -0,04% e quello norvegese lo 0,60%. In agosto, l’inflazione in Norvegia si attestava all’1,70%, per cui sarebbe come dire che i rendimenti reali a lungo termine nel paese si attestino su livelli inferiori al -1%.

Tra gli investitori individuali, chi vorrà mai portarvi i loro capitali per percepire così poco, a fronte di un rischio di cambio da tenere in considerazione? E qua casca l’asino. Secondo un sondaggio commissionato da Reuters in questi giorni, gli analisti si aspettano che il cambio tra euro e corona norvegese si porti a 10,25 tra 12 mesi e quello contro la corona svedese a 10,10. Poiché partiamo da livelli rispettivamente a 10,94 e 10,49, stiamo affermando che le aspettative sono di un rafforzamento di oltre il 7% della prima e del 3,7% della seconda.

Svezia e Norvegia hanno avuto approcci differenti all’emergenza Covid. Stoccolma non ha imposto alcun “lockdown”, pur avendo patito ugualmente le conseguenze della crisi economica internazionale, trattandosi di un’economia esportatrice. Oslo ha pagato il crollo delle quotazioni del petrolio, materia prima che alimenta il suo immenso fondo sovrano da oltre 1.000 miliardi di dollari e che più che compensa il debito pubblico nazionale. Entrambi i paesi godono del rating tripla A, cioè vengono considerati sicurissimi dalle agenzie di rating. Del resto, hanno conti pubblici da fare invidia a quasi tutto il mondo.

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Rischio cambio

Ora, immaginiamo che il sondaggio Reuters abbia ragione.

Compriamo titoli di stato a 10 anni di Svezia e Norvegia e li teniamo nel cassetto per un anno. Le cedole percepite sarebbero bassissime e dovremmo sperare che i prezzi non cedano troppo o restino almeno inalterati per non accusare perdite. Tuttavia, l’apprezzamento dei tassi di cambio ci riporterebbero in attivo con ogni probabilità, dato che il capitale investito in corone svedesi varrebbe quasi il 4% in più e quello investito in corone norvegesi oltre il 7% in più.

Grazie all’indebolimento dell’euro contro le due valute scandinave, saremmo in grado di maturare guadagni impensabili al momento puntando solo sulle scadenze e sui rendimenti nominali. Ovviamente, nessuno ci garantisce che i cambi si muoveranno in questa direzione. Un peggioramento dello scenario per il greggio deprimerebbe la corona norvegese, mentre la Riksbank potrebbe tagliare nuovamente i tassi sottozero per sostenere la crescita dei prezzi al consumo, anche in questo caso tendenzialmente impattando negativamente sul cambio.

Date le alternative, varrebbe la pena rischiare. Rimanere confinati all’Eurozona ci spingerebbe, infatti, a spostarci progressivamente sulle scadenze più lunghe e sui comparti obbligazionari meno solidi, esponendoci a volatilità e rischio di credito. E considerate che a marzo la corona svedese era scesa contro l’euro ai minimi da 11 anni e contro il dollaro ai minimi da 18 anni, quella norvegese ai minimi storici. Fare peggio o tornare a quei livelli appare difficile.

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