L’ok è arrivato. I titoli di stato cinesi verranno inseriti nel World Government Bond Index dell’FTSE Russell. Il provider ha giustificato la decisione, sostenendo che da quando i bond di Pechino sono finiti nella “watch list”, il mercato obbligazionario cinesi ha compiuto importanti miglioramenti in termini di accessibilità agli investitori stranieri e di liquidità delle transazioni. L’inserimento avverrà a partire dall’ottobre dell’anno prossimo, smentendo le precedenti aspettative per un ingresso nell’indice già a partire dal marzo 2021.

Il processo di inserimento sarà graduale e durerà 12 mesi, meno dei 20 attesi. Poiché l’indice raccoglierebbe in adesione capitali per circa 2.500 miliardi di dollari, ipotizzando una quota del 5,7% per la Cina, Goldman Sachs ha stimato afflussi per 140 miliardi a favore di questo mercato. L’intero comparto obbligazionario cinese varrebbe sui 16 mila miliardi di dollari, ma i titoli che potranno essere oggetto di acquisti da parte dell’indice ammontano a 1.500 miliardi.

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Rendimenti appetibili con l’indice

Il vice governatore della Banca Popolare Cinese, Pan Gongsheng, ha dichiarato che alla fine di agosto gli investitori stranieri possedevano obbligazioni cinesi per 2.800 miliardi di yuan, qualcosa come 410 miliardi di dollari, poco più del 2,5% del totale. Troppo bassa la quota ancora in mano alla finanza estera, a causa dei problemi di accessibilità lamentati proprio dal provider fino a qualche tempo fa e che sarebbero stati perlopiù rimossi, a suo avviso.

Il mercato obbligazionario cinese è già parte di un paio di indici internazionali: quello di JP Morgan e di Bloomberg Barclays. La scarsa connessione con il resto del mercato globale rende questi titoli abbastanza appetibili per gli investitori esteri, molti dei quali impiegano i capitali passivamente attraverso l’indice FTSE Russell. Il decennale sovrano di Pechino offre oggi più del 3,10%, a fronte di meno dello 0,70% dell’omologo Treasury e del -0,50% del Bund.

La caccia al rendimento dovrebbe premiare gli assets cinesi dal momento che diverranno ancora più liquidi. Certo, ci si assumerebbe un rischio di cambio, ma difficilmente lo yuan verrebbe fatto deprezzare velocemente dalla Banca Popolare Cinese anche nello scenario commerciale e diplomatico più cupo. Anzi, dai minimi di maggio il cambio si è rafforzato di circa il 5%, riflettendo l’indebolimento del biglietto verde sui mercati valutari. Gli indici consentono agli investitori di superare timori e rischi legati al singolo mercato, offrendo loro l’opportunità di puntare i capitali su un paniere diversificato di assets. E quelli cinesi eleverebbero il rendimento medio, vivacizzando il portafoglio, specie nel caso in cui l’economia asiatica dovesse emergere prima e più forte dalla crisi globale provocata dal Covid.

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