Il mercato dei bond AT1 non si più ripreso del tutto dopo il caso Credit Suisse. Pur in risalita, i prezzi restano mediamente inferiori ai livelli precedenti al salvataggio della banca svizzera. Noti anche come CoCo Bond, sono obbligazioni subordinate emesse dalle banche dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008. Questi titoli, il cui acronimo sta per Additional Tier1, mirano a proteggere i contribuenti dalle perdite degli istituti di credito, consentendo loro di raccogliere denaro sul mercato attraverso strumenti finanziari a metà strada tra capitale e debito.

Nuove garanzie per obbligazioni subordinate?

In effetti, i bond AT1 sono perpetui, cioè non hanno una scadenza certa. E all’occorrenza possono essere convertiti in azioni. Ciò accade quando il livello di capitale primario (AT1) scende sotto i livelli regolamentari. Lo stesso pagamento delle cedole può essere sospeso nel caso in cui la banca riporta perdite. Per quanto rischiosi, in caso di bail-in il loro azzeramento è previsto nell’Unione Europea solo dopo quello azionario. In Svizzera, però, è accaduto il contrario. I bond AT1 di Credit Suisse sono stati azzerati senza che altrettanto sia accaduto alle azioni nel mese di marzo. Queste sono state pagate dall’acquirente UBS per 3,3 miliardi di dollari, a sconto del 60% del loro valore di mercato.

Tuttavia, la Svizzera non fa parte dell’Unione Europea e la legislazione elvetica lo consente. Dunque, non c’è stata alcuna violazione della normativa finanziaria. Tant’è che il giorno dopo l’authority europea ha avvertito il bisogno di rassicurare gli obbligazionisti con un apposito comunicato: in UE l’azzeramento dei bond AT1 può avvenire solo dopo che sarà stato azzerato il capitale azionario. Parole che hanno riportato agli acquisti, pur ancora parzialmente a distanza di due mesi.

E così, in queste settimane l’EBA (European Banking Authority) sta studiando nuove misure per cercare di riportare la fiducia tra gli obbligazionisti.

Una di queste consisterebbe nel vietare alle banche la distribuzione dei dividendi per il caso in cui abbiano in mente di sospendere il pagamento delle cedole sui bond AT1. Inoltre, si punta a meccanismi che privilegino l’ipotesi di rinvio dei pagamenti, anziché la loro cancellazione tout court.

Bond AT1 senza scadenza, ma con date di reset

Dicevamo, i bond AT1 non hanno una scadenza certa. Tuttavia, gli emittenti fissano date di reset dopo un periodo “non callable” di almeno cinque anni. In quelle date possono decidere di rimborsare il capitale o di continuare a pagare gli interessi agli obbligazionisti. In questo secondo caso, la cedola passa da fissa a variabile secondo i criteri fissati nel prospetto informativo all’atto dell’emissione. Il mancato rimborso si avrebbe teoricamente quando le condizioni di mercato non consentono alle banche di rifinanziarsi a costi inferiori a quelli sostenuti continuando a pagare le cedole.

A parte il caso di Santander nel 2019 e a due istituti tedeschi in questi mesi, le banche hanno sempre rimborsato il capitale alle prime date di reset in Europa. E ciò è avvenuto per non perdere la fiducia degli obbligazionisti, spesso indipendentemente dalle condizioni di mercato. Ma con i rialzi dei tassi in corso e il crollo dei prezzi, in particolare, per i bond AT1, aumenta il timore che ci saranno mancati rimborsi nei prossimi mesi. Entro fine anno, ad esempio, scattano otto date di reset per altrettante obbligazioni in Europa.

E anche per questo, rispetto ai giorni immediatamente precedenti l’inizio della crisi bancaria negli Stati Uniti e poi in Svizzera, i prezzi dei bond AT1 restano nettamente inferiori. Prendete il fondo ETF di Invesco dedicato agli investimenti in questi titoli “ibridi” denominati in euro e dollari. La performance dei prezzi segnava ieri -17% dagli inizi di marzo.

Il rendimento medio di quelli in euro, stando a Bloomberg, si aggirerebbe intorno all’11%, ben sopra la cedola media del 6%. C’è da dire, comunque, che le emissioni sono state riservate negli ultimi anni, perlomeno in Italia, agli investitori istituzionali in considerazione proprio degli alti rischi di credito esistenti. E per questo fa ancora più impressione che a tremare siano fondi, assicurazioni e banche. Come se fossero consapevoli di avere sinora sottovalutato tali rischi.

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