Domenica scorsa, è accaduto un po’ un evento storico in Argentina: i peronisti hanno perso il controllo del Congresso per la prima volta dal 1983. Alle elezioni di metà mandato, con in palio metà seggi alla Camera e un terzo al Senato, ha vinto il centro-destra di “Insieme per il Cambiamento”. La notizia ha acceso le speranze degli obbligazionisti, come segnala il timido rialzo dei bond in dollari dell’Argentina di queste ultime sedute.

La quotazione della scadenza luglio 2035 e cedola step up (ISIN: US040114HT09) è salita fino a oltre 31 centesimi.

Si tratta del titolo principale emesso dall’Argentina dopo la ristrutturazione del debito da 65 miliardi di dollari avvenuta nel 2020. Il suo valore nominale vale 20,5 miliardi. Di fatto, è il bond da monitorare per tastare l’umore del mercato. Il minimo era stato toccato nel marzo scorso a poco più di 29 centesimi, mentre l’apice risale a un anno fa, a quasi 38 centesimi.

Bond Argentina tra crisi e speranze

Cosa succede? Il presidente Alberto Fernandez ha ammesso la sconfitta dopo soli due anni di mandato. Ha promesso che concorderà con l’opposizione un’agenda per rilanciare l’economia e che concorderà con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nuove condizioni sui 44 miliardi di dollari di prestiti ricevuti. Unità nazionale e accordo con l’istituto di Washington sono le cose che il mercato voleva sentirsi dire. Con un’inflazione sopra il 50% e un cambio collassato solo quest’anno di quasi un altro 19%, con il peso a viaggiare a metà del loro valore ufficiale al mercato nero, solo riforme condivise potranno far uscire l’economia argentina da una crisi ormai strutturale.

Non sarà facile giungere all’obiettivo. I peronisti sono divisi, con la ex presidenta Cristina Fernandez de Kirchner, oggi al capo del Senato e numero due dell’amministrazione, che vorrebbe che il governo mantenesse posizioni di chiusura verso l’FMI e spendesse ancora di più per sostenere l’economia.

Del resto, i bond dell’Argentina in scadenza nel 2035 stanno semplicemente sostando sopra 30 centesimi di dollaro, a meno di un terzo del loro valore nominale. I rating restano drammaticamente bassi: CCC+ per S&P, CCC per Fitch e Ca per Moody’s. Restano, cioè, titoli di gran lunga “spazzatura”.

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