Ennesimo ultimatum fissato dal governo dell’Argentina per il 24 luglio, data entro la quale i creditori internazionali dovranno decidere se accettare o meno l’ultima offerta di Buenos Aires, che consiste in un ammorbidimento delle condizioni delineate in aprile per la ristrutturazione del debito pubblico. Oggetto della sollecitazione restano i circa 66 miliardi di dollari di bond emessi in valute straniere e sotto la legge americana. La nuova proposta prevede che i pagamenti del capitale avvengano a partire dal marzo 2025, mentre quelli delle cedole sin dal settembre 2021 e con tasso iniziale dello 0,125% fino ad arrivare al 5% per alcuni titoli.

Le cedole verrebbero corrisposte ogni sei mesi, a marzo e settembre di ogni anno. Previsto per esse un “haircut” più leggero rispetto ai due terzi sin qui ipotizzati, mentre le scadenze delle obbligazioni verrebbero accorciate. Altro aspetto importante consiste nella promessa dell’amministrazione Fernandez ai creditori esteri che nei prossimi giorni al Congresso verrà sottoposta una legge, con la quale si imporranno uguali sacrifici agli obbligazionisti domestici in possesso di bond in valute straniere ed emessi sotto la legge locale.

Poco prima, il Comitato dei Creditori dell’Argentina aveva proposto al governo una valutazione dei bond al 54,5% del loro valore nominale, giù dalla precedente 55-56%, seppure ancora superiore al 50% offerto dall’amministrazione. Un modo per ingolosire gli obbligazionisti, accrescendo il valore dei bond senza intaccare la sostenibilità del debito, sarebbe quello di prevedere clausole per mezzo delle quali i titoli verrebbero agganciati a un qualche indicatore macro, come la crescita del pil o le esportazioni. Nella nuova proposta, tuttavia, questa previsione non compare.

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Argentina in default da maggio

La proposta del governo prevede anche lo “swap” tra i bond attuali con altri denominati in euro o dollari e in scadenza nel 2030, 2035, 2038, 2041 e 2046.

Probabile che anche la data del 24 luglio venga infranta, come le numerose precedenti fin qui fissate, sebbene le parti stiano lentamente compiendo qualche passo in avanti per sbloccare il negoziato. A tale riguardo, il governo ha anche previsto che l’accettazione della proposta debba avvenire da una certa percentuale del capitale, pur non essendo stata indicata quale.

Buenos Aires resta in default dal 22 maggio, data in cui non ha onorato una scadenza in dollari dopo i 30 giorni del periodo di grazia. Pertanto, conviene più agli obbligazionisti affrettarsi che non allo stato argentino, il quale nei fatti finisce per guadagnare mesi di tempo, durante i quali non paga né gli interessi e né rimborsa il capitale. Per contro, fino a quando il default rimarrà attivo, l’Argentina non ha nemmeno la speranza di poter accedere ai mercati internazionali per emettere nuovo debito, dovendosi affidare esclusivamente alle emissioni in valuta locale, in quei pesos che al cambio ufficiale valgono quasi la metà di quanto vengano prezzati sul mercato nero.

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