L’emissione dei bond Aramco è stata un successo indiscutibile, avendo raccolto capitali per oltre 100 miliardi di dollari dagli investitori di tutto il mondo, a fronte di un importo richiesto di appena 10-15 miliardi e che al termine del collocamento è stato confermato a 12 miliardi, la metà del range inizialmente fissato. Di fatto, la domanda ha superato l’offerta di quasi 8 volte e mezza. Ciò ha consentito alla compagnia petrolifera statale saudita di indebitarsi a costi inferiori a quelli sostenuti dal regno con l’emissione di debito sovrano.

D’altronde, parliamo di un colosso dalla media giornaliera di quasi 10 milioni di barili al giorno estratti e che ha fatturato nel 2018 ben 356 miliardi di dollari, maturando un utile netto di 111 miliardi, il più alto al mondo, e un Ebitda di 224 miliardi.

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Di fronte a questi numeri, che volete che siano 12 miliardi di debito obbligazionario? E, però, l’andamento è stato tutt’altro che positivo nel corso della prima settimana dall’ammissione dei titoli alle negoziazioni. Tutte le scadenze emesse hanno ripiegato sotto i valori di collocamento. Al termine della seduta di ieri, il triennale con cedola fissa quotava a 99,50, perdendo lo 0,2% rispetto al prezzo di emissione; il quinquennale si attestava a 98,58, giù dai 99,1390 del prezzo di emissione, perdendo così lo 0,56%. E’ andata peggio al decennale, passato da 99,5160 a 97,98, segnando un -1,5%. Il ventennale ha ripiegato dell’1,8% e il trentennale dello 0,8%, scontando un prezzo di emissione più basso, a fronte di una cedola di appena lo 0,125% più alta rispetto al bond con scadenza 2039.

Euforia sui mercati svanita così presto?

Com’è possibile che l’euforia ostentata dagli investitori fino a una settimana fa sembra essersi sgonfiata così presto? Intendiamoci, i rendimenti restano bassi per un emittente corporate e continuano a offrire meno degli omologhi sovrani sauditi, ma non si può certo dire che sul mercato secondario si sia registrata la stessa vivacità della domanda vista sul primario.

In effetti, potrebbe essere accaduto – e lo hanno ammesso gli stessi partecipanti alla fase del collocamento – che pur di accaparrarsi una fetta delle obbligazioni in corso di emissione, gli istituzionali abbiano gonfiato gli ordini, nella speranza di rientrare nelle assegnazioni.

Va notato, poi, che nell’ultima settimana i rendimenti sovrani americani siano lievitati, con il decennale a riportarsi in area 2,60% da 2,50% e il trentennale a spingersi al 3% dal 2,95%. I Treasuries sono stati oggetto di vendite sulla pubblicazione di dati macro più positivi delle attese sia in Cina che negli USA, nonché per via dell’apparente allentamento delle tensioni tra le due principali economie mondiali sul dossier dazi. E poiché i bond di Aramco sono stati emessi in dollari, naturale che risentano delle variazioni sul mercato obbligazionario americano.

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Potrebbe esservi una terza spiegazione per i cali. Trattandosi di una società statale e che frutta a Riad circa i due terzi delle entrate pubbliche, a differenza dei colossi della finanza mondiale, gli investitori privati nutrirebbero qualche timore in più nell’acquistare i titoli del suo debito. Ad ogni modo, probabile anche che questa sia semplicemente una fase di assestamento, caratterizzata dalle vendite di quanti hanno acquistato i bond per un importo superiore alle effettive esigenze di portafoglio e per adesso puntano a liberarsene, facendone salire i rendimenti più in linea con quelli sovrani. Una contraddizione, se si pensa che proprio nelle ultime sedute il Brent sia riuscito a portarsi fin sopra i 70 dollari, al momento sostando nei pressi di 71,50 dollari al barile. Per Aramco sarebbe una buona notizia.

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