Ai primi di agosto, il Treasury a 10 anni era sprofondato a un rendimento dell’1,15%, livello minimo da inizio anno. La scadenza a 30 anni si era portata a poco sopra l’1,80%, anche in questo caso ai minimi dalle prime settimane del 2021. Nelle ultime sedute, invece, i rendimenti americani sono tornati a salire, compiendo un balzo per certi versi sorprendente. Mentre scriviamo, il Treasury a 10 anni offre meno dell’1,34%. E ieri era arrivato all’1,37%. E il Treasury a 30 anni è risalito al 2,01%, pur meno del 2,03% di ieri.

In apparenza, nulla sarebbe accaduto per giustificare movimenti così marcati. A luglio, l’inflazione USA si è mantenuta stabile al 5,4%. Resta il livello più alto dall’agosto 2008, ma almeno l’accelerazione temuta non c’è stata rispetto allo stesso dato di giugno. Eppure, il mercato sta pretendendo rendimenti americani più alti per comprare Treasuries. Né si può spiegare con l’allentamento delle tensioni legate alla pandemia. Anzi, in questi giorni preoccupa il boom dei contagi negli stessi USA.

Rendimenti americani posizionati su tassi o inflazione più alti?

Il fatto è che dalla Federal Reserve sono arrivati segnali meno espansivi. Il presidente della FED di San Francisco, Mary C. Daly, ha spiegato come il ritiro degli stimoli monetari possa essere avviato “già da quest’anno”. E il collega di Richmond, Thomas Barkin, ha ammesso che gli stimoli erogati in tempi di crisi possano essere ridotti. La linea ufficiale dell’istituto resta ultra-accomodante, ma queste dichiarazioni non sarebbero casuali, bensì frutto della necessità di preparare il mercato a una svolta monetaria meno lontana di quanto ad oggi scontato.

Il balzo dei rendimenti americani sconterebbe, quindi, minori acquisti di bond dai prossimi mesi. Un rialzo dei tassi negli USA, invece, sarebbe escluso fino al 2023. Almeno, fino ad oggi. Per contro, potrebbe anche riflettere per paradosso argomentazioni opposte. Con un’inflazione così alta e una FED così accomodante, probabile che il mercato stia scontando una maggiore perdita del potere d’acquisto e si stia regolando di conseguenza.

Per quanto un “surriscaldamento” delle aspettative sia avvenuto nelle ultime sedute, stando al “breakeven” a 5 anni, non sembrerebbe così determinante.

[email protected]