Aramco ha comunicato alla Borsa di Riad di avere dato mandato a un gruppo di banche, affinché da oggi tengano una call con i potenziali investitori finalizzata a vendere sui mercati internazionali ulteriore debito in dollari. La prima emissione era avvenuta nell’aprile dello scorso anno, quando il colosso petrolifero statale dell’Arabia Saudita raccolse 12 miliardi, a fronte di una domanda che superò nel mondo i 100 miliardi. La società non ha comunicato ad oggi la quantità dei capitali che intendere raccogliere, né a quali prezzi.

Semmai, ha prospettato le scadenze a cui avverranno le nuove emissioni e che saranno a 3, 5, 10, 30 e forse anche a 50 anni.

L’obiettivo è di rimpinguare la liquidità aziendale, colpita negli ultimi mesi dal tracollo delle quotazioni del petrolio. La compagnia risulta essere la prima produttrice di greggio al mondo con estrazioni giornaliere che possono arrivare a 10 milioni di barili e con una potenzialità massima di 12,5 milioni di barili. La prima emissione dello scorso anno fu l’occasione per il mercato di conoscere qualche dato finanziario certo su Aramco, che fino ad allora aveva mantenuto grande segretezza sui suoi conti.

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Rischi e opportunità di Aramco

Dalla “disclosure” è emerso che nel 2018 era stato maturato un utile netto di 111,1 miliardi di dollari, sceso a 88,2 miliardi nel 2019. E nei primi 9 mesi dell’anno, l’utile è ulteriormente sceso a 35 miliardi, risultando quasi dimezzato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Numeri estremamente positivi, considerato il periodo, ma prima dell’IPO di fine 2019, Aramco aveva promesso la distribuzione di un maxi-dividendo da 75 miliardi di dollari per ogni esercizio. Poiché in mano agli investitori privati vi è un capitale inferiore al 2%, questa policy nei fatti si traduce in un forte sostegno allo stato saudita, i cui conti pubblici dipendono ancora oggi in larga parte dai proventi petroliferi.

E l’emissione in arrivo servirà tra l’altro a pagare i 37,5 miliardi di dollari di dividendo per la seconda metà di quest’anno, nonché a finanziare la rata per l’acquisizione del 70% di SABIC, colosso petrochimico saudita, avvenuta per 69 miliardi e con pagamenti fino al 2028. Peraltro, la società ha esteso la durata di due finanziamenti ottenuti nel 2015, per cui usufruirà di 8 miliardi di dollari fino al marzo 2022. Grazie al suo rating medio-alto (A per Fitch e A1 per Moody’s), quasi certamente Aramco sarà in grado di finanziarsi sui mercati a costi molto contenuti.

Sul secondario, il bond con scadenza aprile 2029 e cedola 3,50% (ISIN: XS1982113208) ieri offriva un rendimento di poco inferiore al 2%, sostanzialmente in linea con il rendimento sovrano. Acquistando i titoli in emissione, si andrebbe incontro a un rischio di cambio, trattandosi di assets in dollari, e ci si esporrebbe anche a un rischio di credito teoricamente molto basso, in quanto Aramco va considerata a tutti gli effetti la gallina dalle uova d’oro del regno. Tuttavia, non andrebbe sottovalutata la volatilità dei prezzi, i quali risentirebbero direttamente dell’andamento delle quotazioni del greggio sui mercati internazionali e, in misura minore, delle tensioni geopolitiche nel Golfo Persico, sempre presenti.

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