Il gigante cinese delle vendite su internet ha superato ieri un test molto importante sui mercati finanziari. Alibaba è riuscito a collare un bond da 5 miliardi di dollari, suddiviso in quattro tranche. Gli ordini sono stati pari a 8 volte l’importo offerto e la domanda è arrivata anche da qualche fondo sovrano. Rispetto alla precedente emissione, tuttavia, l’incidenza degli investitori americani si è ridotta ed è cresciuta quella degli asiatici.

Nei dettagli, sono state emesse quattro scadenze: a 10, 20, 30 e 40 anni. Le prime due hanno esitato un rendimento di 100 punti base ciascuna superiori al Treasury di pari durata, mentre il trentennale ha offerto un premio di 120 punti base e il titolo a 40 anni di 130.

Dunque, il decennale ha esitato un rendimento in area 2,15%, il ventennale il 2,75%, il trentennale poco meno del 3,15%, il quarantennale quasi il 3,25%. Rispetto alla “guidance”, i rendimenti sono stati fissati a circa 30-40 punti base in meno. Da notare, comunque, come l’emissione sia stata inferiore al massimo degli 8 miliardi preventivati. I proventi saranno destinati a finanziare finalità aziendali generali, anche se la società non ha alcun bisogno di liquidità, ma come tante altre grosse realtà asiatiche ha voluto approfittare dei bassi tassi di mercato per accumulare scorte da utilizzare in futuro.

Dicevamo, il successo non era scontato. In effetti, Alibaba è stato al centro di vicissitudini politico-finanziarie negli ultimi mesi. In ottobre, avrebbe dovuto incassare ben 37 miliardi di dollari attraverso la più grande IPO di sempre, quella della società dei pagamenti Ant, a capo di Alipay, di cui detiene un terzo del capitale. L’operazione venne rinviata dopo che le autorità finanziarie di Pechino negarono la quotazione in borsa, adducendo problematiche regolamentari. E il 24 dicembre scorso, le stesse aprivano un’indagine a carico del colosso per abuso di posizione dominante.

Alibaba emetterà un bond in dollari fino a 8 miliardi a gennaio, situazione più delicata che mai

Tensioni con Pechino parzialmente rientrate

Cosa ancora più impressionante, il fondatore ed ex CEO, Jack Ma, spariva per tre mesi, ricomparendo in pubblico per la prima volta un paio di settimane fa.

Qualcuno era arrivato ad ipotizzare che fosse finito in un campo di rieducazione. Le tensioni con Pechino sono nate da un’intervista di Ma di fine settembre, quando il super-manager criticava il sistema finanziario cinese, sostenendo che fosse arretrato e che gli servisse un ammodernamento anche sul piano legislativo. Il regime comunista non l’ha presa affatto bene, da qui la doppia punizione in breve tempo, che ha fatto temere il peggio per i destini di Alibaba: “spacchettamento” e/o controllo statale.

Ma le tensioni sono parzialmente rientrate. Dai minimi toccati a fine dicembre, il titolo azionario ha Hong Kong si è ripreso di circa il 23%. E nell’annunciare l’emissione obbligazionaria, la società ha fatto presente di avere richiesto e ottenuto l’autorizzazione dalla Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, un modo per segnalare che i rapporti con l’establishment politico-normativo sarebbero positivi. Peraltro, Alibaba ha accettato che Alipay venga sottoposta alla legislazione bancaria, un accordo che eviterebbe la scissione. Positivi, poi, i dati del trimestre scorso: ricavi a +37% e utile netto a +62% su base annuale.

Nelle ultime settimane, anche la reazione dell’obbligazionario è stata positiva. Il bond 28 novembre 2034 e cedola 4,5% (ISIN: US01609WAR34) ha guadagnato il 4,6% dal 12 gennaio scorso, sostenuto anche dalla riapparizione di Ma e portandosi a una quotazione di oltre 122. La scadenza attualmente rende poco meno del 2,40%.

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