“Ho letto con molto interesse la sua analisi (sul bond secolare dell’Austria, ndr). Ho capito bene che siamo in una deflazione secolare? Questa avversione al rischio di impresa, alla fuga immobiliare, al cambiamento dei costumi? Occorre stare cash perché nulla è più sicuro ? Tanto vale prendersi quel 1% sicuro ? Ma un etf health pure con i tonfi di borsa può tra dieci o venti anni essere un rischio?”.

Gentile lettore,

grazie della sua email. Mi offre spunti interessanti di riflessione sui temi da lei accennati.

Anzitutto: siamo in deflazione secolare? Direi che l’espressione non sia esatta, semmai stiamo dirigendoci apparentemente verso una lunga fase di bassa inflazione (“lowflation”). Se lei ampliasse lo sguardo agli ultimi 40 anni, noterebbe che l’inflazione nel mondo avanzato (Nord America, Europa, Giappone e Australia) sia costantemente diminuita e i rendimenti obbligazionari pure. Prima della crisi del 2008, pensavamo che la crescita tendenziale media annua dei prezzi sarebbe stata quasi fisiologicamente pari o superiore al 2%, oggi sappiamo che anche l’1% può diventare difficile in assenza di stimoli monetari.

Perché la bassa inflazione è un fenomeno mondiale e la deflazione è dietro l’angolo

Le ragioni di questo trend sarebbero molteplici: la popolazione invecchia velocemente e ciò accresce il tasso di propensione al risparmio; la tecnologia è tipicamente deflattiva, perché consente di produrre di più e a costi più bassi; la globalizzazione mette le imprese in concorrenza tra loro in tutto il mondo e crea pressioni ribassiste sui prezzi, oltre che sui salari; infine, le ultime 3 generazioni non hanno ricordi pratici di inflazione alta, meno che mai a due cifre, ciò le porta culturalmente a non concepire/tollerare rialzi dei prezzi cospicui e prolungati.

Lo stesso ragionamento inizia a valere per i rendimenti delle obbligazioni: nessuno tra gli under 50 oggi avrà mai investito personalmente o come trader in titoli che offrissero il 10%, com’era ancora fino alla metà degli anni Novanta.

Anzi, esiste ormai una generazione, grosso modo, di under 35, che sui mercati non ha operato nemmeno con rendimenti a lungo termine in area 4-5%, essendovi entrata nell’ultimo decennio. Secondo alcuni autorevoli gestori del risparmio, i rendimenti resteranno bassi ancora per decenni. Per capirne le ragioni, vi invitiamo a rileggervi questo articolo di solo qualche mese fa: Tassi bassi per decenni, c’entra la previdenza. E in portafoglio servono un po’ di azioni.

Aldilà di tutto, è chiaro che ci troviamo in una fase abbastanza anomala, che non sappiamo se sia passeggera o definitiva, cioè se i mercati finanziari si siano “giapponesizzati”. Tornando al bond secolare austriaco che ha offerto poco più dell’1% di rendimento e che ha riscosso in settimana notevole successo, esso riflette non tanto una volontà di accontentarsi degli investitori, quanto assenza di alternative di pari grado di rischio. Nell’Eurozona, nessun titolo di categoria “A” offre più l’1% nemmeno sulle lunghissime scadenze e quasi sta accadendo lo stesso per i bond “BBB”, ad eccezione dell’Italia per ragioni tutte specifiche.

Certo, è un guaio, perché se è vero che l’inflazione bassa giustificherebbe rendimenti anch’essi bassi, qui siamo a livelli “glaciali”, sottozero in termini nominali per quasi un quinto dei bond trattati nel mondo, nonché in termini reali per la stragrande maggioranza del restante mercato. In soldoni, investire oggi nell’obbligazionario implica il rischio elevatissimo di subire perdite anche avendo acquistato titoli con rendimenti positivi, non fosse che per il fatto che l’inflazione in futuro risulterà probabilmente superiore. A tale riguardo, restare cash sarebbe ancora peggio, perché l’inflazione non verrebbe nemmeno parzialmente coperta dal contante.

Infine, gli Etf “health care”. Appaiono una buona scommessa in un mondo che invecchia. Il Lyxor MSCI World Health Care TR UCITS ETF C-USD, ad esempio, ha reso il 40,5% da inizio 2015, dividendi inclusi.

E pur essendo le quotazioni denominate in dollari, il cambio contro l’euro da allora è rimasto quasi immutato, per cui parliamo di una resa effettiva del 40% per gli investitori dell’Eurozona. Non è detto chiaramente che lo stesso accadrà in futuro, rischio valutario a parte. Ad ogni modo, nel lungo periodo l’investimento azionario in un comparto tendenzialmente resiliente ad eventuali shock negativi sui mercati sarebbe da considerare, specie tenuto conto dei rendimenti infimi dei bond, e lo strumento dell’Etf si presta bene allo scopo, essendo economico e passivo, cioè seguendo il sottostante indice, senza puntare a battere il “benchmark”.

E se il mercato obbligazionario stesse sbagliando i conti sull’inflazione?

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