Mentre in Europa e in Giappone gli investitori devono barcamenarsi tra obbligazioni con rendimenti negativi o appena positivi e negli stessi USA i rendimenti reali si attestano su valori decisamente sottozero, il secondo mercato dei bond più grande al mondo offre la media del 3%. La Cina vanta emissioni complessive per 16 mila miliardi di dollari. I rating sono medio-alti: A+ per S&P, A1 per Moody’s. La scadenza a 10 anni rende ancora oggi il 3,20%, quella a 2 anni il 2,70%. Livelli semplicemente da sogno ormai nel Vecchio Continente, dove il Bund decennale continua a viaggiare in area -0,50% e lo stesso BTp di pari durata, pur il più generoso dell’area insieme al bond greco, si attesta sopra lo 0,50%.

Ignorare l’obbligazionario cinese inizia a diventare sempre meno sostenibile. Il principale freno ad oggi per l’industria dell’asset management è di tipo politico. Nell’estate del 2015, quando la borsa cinese crollò sui timori di un rallentamento economico del Dragone, il governo impose stringenti controlli sui capitali. I pacchetti azionari sopra un certo importo non poterono più essere venduti. Negli ultimi anni, poi, è arrivata la “guerra” dei dazi con gli USA, non certo finita con l’amministrazione Trump.

Ma se vuoi attingere a un rendimento maggiore, devi assumerti qualche rischio in più. E’ la legge del mercato. E nella sola Europa c’è un’industria dei fondi pensione da 4 mila miliardi di dollari, oltre il 40% dei 9.500 miliardi di tutto il mondo. Di questi, appena 25 miliardi sono investiti in bond cinesi, di cui oltre un decimo grazie ai fondi tedeschi, mentre l’Olanda destina appena 300 milioni di euro a questo mercato, un po’ meno degli oltre 400 milioni di dollari della Svezia.

Cinque motivi per guardare con favore ai bond della Cina

Yuan su, così come i rischi di credito

Non solo i rendimenti cinesi sono relativamente elevati, ma il fattore cambio va nella direzione giusta.

Lo yuan guadagna il 7% contro il dollaro da fine agosto e il 2,2% contro l’euro a gennaio. Contro la moneta unica, segna +13,5% nell’ultimo decennio. Insomma, parliamo di una valuta stabile, anzi i governi occidentali, americano in testa e più esplicitamente, accusano Pechino di tenere il cambio sottovalutato, non consentendogli di rafforzarsi per non colpire le esportazioni.

Ma la Cina ha ambizioni geopolitiche ed economiche da superpotenza. Punta a fare dello yuan una valuta di riferimento per l’Asia e alternativa al dollaro. Ciò significa che nei prossimi anni e decenni, le autorità guarderanno con occhi sempre più benevoli al suo apprezzamento. Per gli investitori esteri, un’ottima notizia. A fronte di rendimenti obbligazionari superiori, il capitale verrebbe rivalutato nel medio-lungo termine grazie al fattore cambio. Per contro, bisogna scegliere bene quali bond inserire in portafoglio. Stando alle nuove linee-guida delle autorità finanziarie, parecchi emittenti rischiano di andare in default. Si stimano in oltre 65 miliardi di dollari le scadenze sotto pressione quest’anno, una cifra relativamente modesta, ma che dà il senso di una maggiore accettazione da parte di Pechino degli eventi creditizi avversi, anche solo per imporre una disciplina al mercato.

Infine, un aspetto che accresce l’appetibilità dei bond cinesi risiede nella loro scarsa correlazione con l’andamento dei bond americani ed europei. Questo significa che quando i rendimenti sui nostri mercati salgono o diminuiscono, in Cina non seguono pedissequamente lo stesso percorso, consentendo agli investitori di diversificare i portafogli per aumentare la “yield”. E per quanto i tassi di crescita del PIL cinese si siano contratti nell’ultimo decennio, restano anche di 3-4 volte più alti di quelli esibiti dalle principali economie mondiali, sebbene vada considerato con estrema attenzione il boom del debito totale registratosi dopo la crisi finanziaria globale del 2008-’09.

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