Ieri sera, dopo una settimana di pausa (per lasciare spazio allo Speciale Elisir di Michele Mirabella dedicato alla raccolta fondi dell’AIRC per la ricerca sul cancro), è andata in onda su Rai Tre una nuova puntata di Report, il programma di inchiesta e approfondimento condotto da Milena Gabanelli che quest’anno sta facendo registrare ascolti record (anche grazie ad inchieste scoop come quella sugli immobili di Di Pietro di cui si è tornati a parlare anche ieri per alcune breve precisazioni).
BPM e arresto di Ponzellini: con Bonomi si è chiusa l’epoca dei finanziamenti fai da te?
L’inchiesta principale, che ha dato il titolo alla puntata di Report andata in onda ieri, è quella firmata da Sigfrido Ranucci. Il servizio ripercorre la storia della Banca Popolare di Milano dall’arresto sei mesi fa di Massimo Ponzellini, ex manager e Presidente della BPM, con l’accusa di aver concesso finanziamenti alle imprese in cambio di mazzette. Nell’inchiesta sono state coincolte molte aziende note: da Atlantis Bplus alla Sisal, dal Gruppo Gavio a Capgemini, da Caltagirone ad Almaviva. Secondo quanto si legge nello Statuto infatti l’istituto finanziario milanese avrebbe dovuto finanziare piccole e medie imprese radicate sul territorio italiano mentre di fatto si era trasformato in un bancomat per politici e potenti. Dall’inchiesta della Procura di Milano spuntano i nomi di Calderoli, Bossi, Santanchè, La Russa, Brambilla, Urso, Dell’Utri, Berlusconi, Gianni Letta etc. ma anche Tremonti e l’attuale ministro dell’economia Vittorio Grilli. Nella ragnatela di rapporti è coinvolto anche il Vaticano, di cui Ponzellini è uno dei consiglieri economici. Ad autunno 2011 nasce l’esigenza di sostituire Ponzellini e spezzare un sistema di favoritismi: si presentano l’imprenditore Bonomi e il banchiere Matteo Arpe (con la sua Sator). Vince il primo: l’epoca dei finanziamenti fai da te può considerarsi parte del passato? La storia degli ultimi mesi ci insegna che non è proprio così: un testimone interno alla BPM (che preferisce restare anonimo per ovvi motivi) racconta dell’intento delle banche americane di trasformare la banca da cooperativa a spa.
Istituto per il Commercio Estero: perché Passera lo ha riaperto ad un anno dalla chiusura di Tremonti?
E sempre a proposito di sostegno alle piccole e medie imprese si parla dell’ICE e della sua storia travagliata. L’argomento viene presentato attraverso la storia di tre giovani architetti, Valerio, Michelangelo e Andrea che, pur avendo vinto il concorso del 2008 per essere assunti dall’Istituto nazionale per il commercio estero (ICE) non sono mai stati chiamati. Come si entra a lavorare nell’Ice? Quali sono i suoi compiti nella realtà ? Quesiti che ci riportano al tentativo, nel 2010 di Tremonti di sopprimere l’ice che ufficialmente dovrebbe promuovere i prodotti italiani portando maggiori introiti alle aziende ma anche al Fisco ma che di fatto rappresentava una perdita per le casse dello Stato (con 1400 consulenze solo nel 2010 era diventato praticamente una macchina da guerra). A luglio 2011 Tremonti lo chiude con la manovra di stabilità ma Passera lo ha riaperto e questo apri e chiudi lo abbiamo pagato noi. Ma non solo: Passera vede in Riccardo Maria Monti ( amico di famiglia oltre che consigliere di amministrazione Simest e consigliere personale di Passera per l’internalizzazione) la figura giusta da mettere a capo dell’Ice (facendo fuori Gabriele Andreetta ex dirigente che è ricorso al giudice del lavoro e che quindi, in caso di vittoria, avrebbe diritto anche agli arretrati).
Gruppi parlamentari: chi controlla?
L’inchiesta di Sabrina Giannini ci riporta invece ad un altro spreco pubblico che in tempi di spending review e tagli non può non offendere gli italiani ovvero la gestione e il mancato controllo dei gruppi parlamentari, lasciati liberi di gestire i propri fondi senza rendere conto né a Senato né alla Camera. Ogni anno 300 milioni di euro rimborsi elettorali per i partiti si sommano a quelli per i gruppi parlamentari (circa 75 milioni). Gianfranco Fini stesso ammette che non ci sono controlli: i gruppi parlamentari sono come paradisi fiscali dentro Senato e Camera. Peraltro i capogruppo ricevono un’indennità di funzione esentasse di cui è impossibile conoscere l’ammontare. E senza controllo sono le assunzioni in esubero: Pietro Ichino senatore Pd parla di riciclaggio dei “nullafacenti dei partiti defunti” (vedi i Verdi o rifondazione comunista). Si parla di posti di lavoro che singolarmente costano dai 75 mila ai 150 mila euro annui. Viespoli si difende e parla di capacità di autocontrollo.
Le case di Di Pietro sono 56 o 11?
Piccola parentesi dedicata all’inchiesta su Di Pietro: visto che la presentatrice di Report ha ricevuto un tapiro da Striscia la Notizia e che in tv lo stesso leader dell’Italia dei Valori (ma anche altri per lui, vedi Marco Travaglio) hanno precisato che le case non erano 56 bensì 11 e che la trasmissione ha fatto confusione con le particelle catastali dell’azienda agricola di famiglia trattando alla stessa stregua terreni, garage, cantine etc., viene rimandato in onda uno stralcio dell’inchiesta di Report. Si sente chiaramente che viene precisato che le case sono 11 ma questo non cambia il valore complessivo del patrimonio e il fatto che per nove anni Di Pietro e la moglie hanno gestito 50 milioni di rimborsi elettorali senza renderne partecipe il partito.