La protesta dei Forconi va avanti. Tra le questioni più discusse c’è la presunta solidarietà dei poliziotti. Alcuni si sono tolti i caschi restando senza protezione: ma perché lo hanno fatto esattamente? Le versioni sono diverse: alcuni esponenti delle Forze dell’ordine hanno spiegato che si tratta di una procedura standard che nulla ha a che vedere con sentimenti di solidarietà o partecipazione ma che viene prevista per questioni di sicurezza. Da parte loro i forconi hanno chiesto a gran voce ai poliziotti di manifestare uniti e sono convinti che molti lo hanno fatto.
Anche Beppe Grillo ha scritto una lettera alla polizia in cui invita ad evitare “
lotte tra poveri” facendo il gioco della politica (
Rivolta Forconi: Grillo incita i poliziotti ad unirsi al popolo). A chiarire almeno in parte la questione è stato il sito di Repubblica, che ha intervistato uno dei poliziotti fotografati a
Torino con i caschi in mano. Le prime parole di
Francesco C. appaiono quasi di
pentimento, non tanto per il gesto quanto piuttosto per il caos che vi ha fatto seguito: “
Non mi fossi mai tolto quel casco. Ma come potevamo immaginare tutto questo casino? Era sembrato un gesto naturale”. Segue una descrizione della mattinata, con dettagli di cui i giornali hanno parlato poco: “
era stata una mattina difficile. In piazza Castello i gruppi della protesta erano arrivati all’improvviso. Soprattutto quelli giovani, incazzati, che spuntavano dietro le facciate dei palazzi. Si erano riforniti di mattoni in un cantiere lì vicino. E tiravano, tiravano senza fermarsi. Un vicequestore, una donna, aveva preso una mattonata sul casco e poi era stata colpita a una mano. Ce l’aveva gonfia come una palla, forse fratturata. L’abbiamo portata all’ambulanza, dietro, in via Garibaldi. I colleghi erano riusciti a cacciare lontano gli incazzati. Abbiamo contato i feriti: 14 di noi in ospedale. E tre volanti distrutte a pietrate”.
Sedato il clima di violenza la manifestazione sembra poi aver preso tutta un’altra piega: “
in piazza restano gli altri”. “I buoni?”, insiste il giornalista: “
Questo non lo so. Diciamo quelli più pacifici. Noi rimaniamo con i caschi a difendere l’ingresso del Palazzo della Regione. Loro si avvicinano. Sono ragazzi che lavorano al mercato e uomini sulla cinquantina. Padri e figli. Qualcuno sfotte: “Perché state a difendere quelli che guadagnano 10mila euro al mese? Voi non siete come loro, voi siete come noi”. Così alla richiesta di togliere i caschi hanno aderito in maniera naturale: “la situazione era tranquilla da un bel po’. Era normale fare quel gesto. Quando il funzionario ci ha detto di togliere i caschi nessuno ci ha trovato niente di strano. La gente ha cominciato ad applaudire”. Francesco C. non parla di solidarietà ma ammette “
io li capivo”. Poi la questione è stata, sostiene,
strumentalizzata: punta il dito contro la stampa che ha cercato lo scoop.