L’impennata dei contagi causati dalla variante Omicron 5, sottovariante di Omicron, è sotto gli occhi di tutti. Nella giornata di ieri si sono raggiunti 94 mila contagi, quasi il doppio rispetto a quelli di una settimana fa. Se il buongiorno si vede dal mattino, sarà un’estate molto diversa rispetto alle ultime due, quando il Covid tendeva a regredire per poi tornare vigoroso tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno. Perché ci si ritrova in questa situazione? Ci si contagia anche all’aperto? A cosa dobbiamo prestare attenzione? Il Messaggero ha intervistato Massimo Andreoni, direttore di Malattie infettive del Policlinico Tor Vergata di Roma.

Domande e risposte su variante Omicron 5: che cosa ci aspetta quest’estate

Innanzitutto, Andreoni ha voluto subito smentire la fake news secondo cui il caldo aiuta ad arrestare la circolazione del virus, portando gli esempi di quanto accaduto in India e in Texas, dove le temperature erano perfino più elevate rispetto a quelle delle ultime settimane qui in Italia.

Perché allora nelle estati 2020 e 2021 il virus tendeva a scomparire, mentre quest’anno la tendenza è completamente diversa? L’esperto afferma che nelle ultime due estati le persone si comportavano con una cautela maggiore, inoltre il virus di quest’anno è molto più trasmessibile.

Ci si contagia anche all’aperto? Secondo Massimo Andreoni, il rischio zero non esiste, confermando comunque che le probabilità di contagio tra persone siano molto più alte nei luoghi chiusi piuttosto che quelli aperti.

Il caldo non rallenta la pandemia

E l’aria condizionata? Diversi studi hanno dimostrato che negli ambienti chiusi in cui vi è aerazione, ci sono più possibilità di contrarre il virus. Tutto però dipende dai ricambi d’aria, nel senso che se l’aria si sposta nello stesso ambiente allora si corre di più il rischio di contagiarsi, invece se c’è un ricircolo d’aria fra interno ed esterno allora il rischio diminuisce.

Che differenza c’è tra infezione e malattia? A un numero elevato di contagi non corrisponde un numero altrettanto alto di pazienti gravi. Questo perché il vaccino ci protegge dalla malattia, ma non dall’infezione, nei cui confronti ha una protezione minima, tra il 15 e 10%.